Storia di Marchionne, l’uomo della crisi che ha fatto nascere la Grande Fiat
12 Luglio 2009
Quando si parla di crisi la mente ci porta a un evento imprevisto e improvviso. Sappiamo, invece, che al di là del problema scatenante, spesso le vere cause sono imputabili a situazioni sottostanti, ma sottovalutate e quindi mal gestite. Leggendo il libro di Marco Ferrante “Marchionne, l’uomo che comprò la Chrysler” (Mondadori, 123 pagine, 17 euro), si capisce subito che la principale qualità dell’amministratore delegato della Fiat «è la capacità di trovarsi a proprio agio nelle situazioni di crisi e di saper uscire dall’angolo nel momento più buio del match». Il manager italocanadese, infatti, non solo è riuscito in cinque anni a risollevare il Lingotto dall’orlo del commissariamento di Stato, ma addirittura ha portato la casa di Torino alla conquista della terza azienda automobilistica americana in fallimento a causa della recessione globale.
Conoscere la storia umana e professionale di Sergio Marchionne è quindi utile per avere un esempio di come sia possibile individuare le vie da percorrere in un sistema in sovvertimento, in un mondo che cambia e che pone chiunque di fronte a nuove sfide, ma che offre anche una serie di opportunità che bisogna saper cogliere con coraggio. La parola crisi deriva dal greco Krìsis e viene tradotta con «giudizio, scelta, decisione». Marchionne ha dimostrato di saper governare con rapidità di esecuzione prima le difficoltà della sua azienda e poi quelle dovute allo shock del sistema finanziario internazionale. Il sociologo francese Edgar Morin individua una doppia faccia della crisi, «risk of regression and chance of progression», perché i suoi effetti possono riproporre o addirittura indebolire lo status quo precedente, ma anche generare un nuovo e migliore stato di equilibrio. Per ottenere il secondo risultato, quello auspicabile, bisogna avere la capacità di comprendere in anticipo gli sviluppi della situazione e di compiere azioni potenzialmente innovative.
I cinque anni di Marchionne a Torino sono stati anni di continuo movimento per uscire da una crisi che sembrava disperata. Arrivato in consiglio d’amministrazione un anno prima della morte di Umberto Agnelli, nel 2004 viene nominato al vertice del Lingotto. Si dimostra subito un manager di grande capacità e inventiva: cede le ultime partecipazioni dell’azienda in settori non strategici e si concentra sulla dinamica del mercato attraverso lo snellimento della struttura burocratica, l’accelerazione dei processi decisionali e il rinnovamento dei prodotti, di cui è simbolo la nuova Cinquecento. Vince la sfida con General Motors per la put (il diritto a vendere da parte della Fiat) e riesce a mettere in ordine i conti in profondo rosso della più grande azienda manifatturiera italiana portandola a chiudere il 2007 con l’utile record di 2 miliardi di euro e, nel 2008, di 1,7 miliardi. Poi, neanche il tempo di godere dei successi ottenuti, è arrivata la grande recessione e la crisi finanziaria innescata dai mutui subprime americani.
Marchionne individua immediatamente una nuova strategia che parte, ancora una volta, dalla lucida analisi del sistema in cui deve muoversi. Questo il ragionamento fatto dal manager: il settore dell’auto attualmente ha una capacità produttiva eccessiva, fino a 90 milioni di automobili all’anno mentre in realtà ne servono 60. Il numero uno della Fiat è convinto che in futuro sopravvivranno nel mondo al massimo sei produttori e la Fiat sarà tra questi. Così fa un’offerta per Chrysler e una per Opel, per cercare di costruire un nuovo gruppo automobilistico che potrebbe diventare il secondo al mondo: è il sogno della Grande Fiat. Il 30 aprile scorso, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncia l’alleanza tra Usa e Italia: la casa automobilistica torinese entra nel capitale Chrysler con l’accordo di fornire all’azienda di Detroit tecnologia verde.
Per condurre l’operazione d’oltreoceano Marchionne ha senz’altro sfruttato la rete di conoscenze internazionali acquisite in venticinque anni di carriera. Ma c’è dell’altro. Ferrante, giornalista esperto di economia e vicedirettore del quotidiano “Il Riformista”, ci svela la psicologia di un uomo di 57 anni nato a Chieti e che, nonostante le vittorie professionali e l’esposizione mediatica, continua a essere enigmatico per la sua riservatezza. Ci racconta la storia del ragazzo di quattordici anni emigrato nel 1966 dall’Abruzzo in Canada con la famiglia perché il padre, Concezio Marchionne, maresciallo maggiore dei carabinieri in pensione, non si fidava dell’Italia per il futuro dei suoi ragazzi. E così il figlio Sergio impara l’inglese, prende tre lauree (filosofia, economia e legge) e si avvia alla carriera dirigenziale. Va in Svizzera dove realizza i primi successi: la valorizzazione di Alusuisse (tra i principali produttori mondiali di alluminio) e il risanamento di Sgs (leader globale nei servizi di controllo e certificazione).
Quando Sergio Marchionne arriva in Italia nessuno sapeva niente di lui, ma a partire dall’inizio del 2006 è già una star mediatica. La divisa del Marchionne-guru è il pullover nero (non blu come sembra) che respinge la formalità e incarna le sue doti di decisionismo, novità, freschezza, che fotografa l’idea di «azione capitalistica nutrita di una certa dose di compassione sociale», scrive Ferrante. Un’uniforme che simboleggia la sua leadership ma anche il pragmatismo che richiede l’attuale fase di transizione del sistema capitalistico. Una fase nuova e ancora incerta, in cui si assiste a quello che solo qualche mese fa sembrava impensabile: «una media società industriale come l’Italia che si candida a ristrutturare il più grande sistema industriale del mondo in ginocchio, quello americano», sottolinea l’autore del libro.
È senza dubbio troppo presto per dare un giudizio su quanto sia brillante il processo di integrazioni internazionali immaginato dal capo della Fiat e cominciato con l’ingresso in Chrysler. Bisognerà valutarne l’impatto su più fronti, in primo luogo sui benefici che l’Italia potrà trarre da questa vicenda. Non dimentichiamo che la Fiat, proprio perché azienda di rilevanza strategica nazionale, ha da sempre goduto di benefici pubblici, come la riedizione degli incentivi alla rottamazione decisa dal governo nei mesi scorsi. Per questo motivo dal Lingotto ci si aspetta un comportamento che tenga conto degli interessi sociali e non solo strettamente aziendali. Marchionne ha indicato la strada per raggiungere tali traguardi, consapevole che il suo successo rappresenta anche un’occasione per stabilire un nuovo clima di fiducia tra la Fiat e il Paese.