Storia di Noreen e di tutte le donne cristiane che dobbiamo difendere
18 Gennaio 2017
Tre giorni fa il Daily Mail ha raccontato la storia di Soad Thabet. Una settantenne cristiana in Egitto, strappata alla sua casa da un gruppo di islamisti a fine maggio, trascinata in strada, spogliata e gettata sulle strade fangose di Alkarm. Un episodio la cui eco mediatica ha costretto il presidente Abdel Fattah al-Sisi ad esporsi in prima persona con promesse importanti. Per placare gli animi sono stati arrestati quindici uomini, ma lunedì, una Corte egiziana – ufficialmente per mancanza di prove – ha fatto cadere tutte le accuse contro i violenti. E anche questo caso è stato archiviato senza rumore.
Il peccato della signora è stato avere un figlio che secondo la legge islamica in vigore nel villaggio avrebbe avuto una fugace, e proibita, relazione con una donna musulmana – figlio che peraltro nega che la relazione sia avvenuta (in Egitto quelle tra cristiani e musulmane sono illegali). Quando la voce si è diffusa, una folla inferocita ha pensato bene di minacciare di morte l’intera famiglia cristiana, per poi bruciarne la casa. Gli uomini hanno incendiato anche altre sei abitazioni di cristiani, a caso. Questo accade ai cristiani, che costituiscono circa un decimo della popolazione egiziana, un Paese a prevalenza musulmana.
Le case vengono bruciate, i campi rasi al suolo, le chiese attaccate e, di tanto in tanto, qualcuno è costretto a lasciare il suo villaggio. Tutto in odio alla croce. Niente di più. Proprio nell’ultimo mese, in concomitanza, guarda caso, con il Natale, la persecuzione contro i cristiani ha subito un’impennata brutale. Ad Alessandria, un commerciante è stato sgozzato da un musulmano, al grido di “Allahu Akbar”, in pieno giorno, nel mezzo della strada, davanti ai passanti. L’assassino ha liquidato la faccenda giustificandosi senza timore, “gli ho più volte detto di non vendere alcool, ma non mi ha mai ascoltato”.
Le storie si ripetono senza sosta, l’odio anti-cristiano viene biasimato da inchiostro versato con il contagocce e le donne continuano ad essere il bersaglio preferito. Un’eterna dicotomia con un Occidente sempre più a caccia di diritti folli, ma dove la donna è donna, da quelle parti, invece, paragonabile solo alle bestie. Soprattutto se cristiana.
E’ il caso di Noreen Yousaf, 28 anni, laureata in Scienze dell’educazione ad Islamabad, oggi in Italia per continuare gli studi. La donna, pakistana, ha inoltrato la richiesta di asilo politico perché “in base all’art. 295 del Codice Penale Pakistano, più noto come ‘legge anti-blasfemia’, potrei essere condannata a morte. Vogliono vendicarsi del matrimonio tra un cristiano e una ragazza ex-musulmana convertitasi al cristianesimo. Hanno distribuito anche dei volantini nei quali c’era scritto che avrebbero convertito all’Islam tutte le ragazze di West Colony, facendole sposare con i musulmani. A questo punto mi sono trasferita a casa di mia sorella, a 200 km da Jhelum, sperando che la situazione potesse migliorare”.
Noreen è coinvolta in prima persona nella vicenda, dal momento che uno dei volantini distribuiti fa riferimento a una sua partecipazione nella stesura di un testo critico sulla cosiddetta legge anti-blasfemia. “Noreen Yousaf è blasfema perché ha insultato il profeta scrivendo il libro sulla legge della blasfemia e per questo deve essere uccisa”, dopo questa minaccia Noreen ha avuto l’opportunità di venire in Italia, ma non può tornare in patria perché, sottolinea, “se mi rivolgessi alla polizia chiedendo protezione e se registrassi io stessa la denuncia per le minacce ricevute sarei subito arrestata e condannata a morte. In quanto accusata di blasfemia, infatti, è sufficiente che sia un musulmano a denunciarmi, anche se l’accusa è falsa”. La comunità cristiana in Pakistan, secondo Chowdhry, presidente della British Pakistani Christian Association, “viene demonizzata e ridicolizzata”. Ricordate la storia di Asia Bibi?