Storia di Ophelia, la bimba down che mamma e papà volevano felice (come loro)
16 Marzo 2008
di Paola Vitali
La notizia dei genitori inglesi che a mezzo stampa hanno fatto
conoscere il loro desiderio di sottoporre alla chirurgia estetica la figlia
affetta da sindrome di Down per fortuna ha ricevuto commenti concordi,
soprattutto dalle associazioni di familiari delle persone Down.
Qualche informazione su papà e mamma della piccola Ophelia
Kirwan, che al momento ha appena due anni e nessuna idea del dibattito etico e
mediatico che la riguarda, è essenziale per comprendere meglio le loro
motivazioni, oltre che la scelta di comunicarlo alla stampa. I due signori,
benestanti e impeccabili nelle foto zuccherose che li ritraggono, sono un
chirurgo plastico di fama e la moglie splendente, che al bisturi del consorte
sembra già essere ricorsa. E poiché ci tengono a sottolineare che se dovessero
arrivare alle operazioni di correzione dei tratti somatici caratteristici dei
Down sul viso della bambina, non sarebbe prima dei suoi diciotto anni e
comunque previo consenso della ragazza, la loro mossa ha sollevato in tutti la
reazione di fastidio che è tipica per le esternazioni fatte a scopo
pubblicitario. Tant’è che nonostante il dottor Kirwan sia un medico affermato,
è da quando ha offerto foto e opinioni al Daily
Mail che è diventato noto davvero a tutti, in patria e all’estero.
Chelsea Kirwan pensa che per sua figlia l’apparire “meno Down”
potrà essere una facilitazione che le consentirà di subire meno sfottò e
discriminazioni a scuola, tra gli amici, e più avanti l’agevolerà nella ricerca
di un lavoro. E questo è tutto comprensibile.
Si ha un bel parlare di disabilità, di variabilità del concetto di normalità,
ma quando un handicappato (usiamola ogni tanto questa parola, non c’è davvero
nulla di male) non è gradevole per i nostri occhi, abbiamo tutti, anche chi ha
meno problemi con l’estetica, la tentazione di allontanarci. E siamo tutti
consapevoli di quanto sia delicata la socialità negli anni di scuola e di
muretto per quelli più grassocci, con gli occhiali, o le orecchie a
sventola. Ma poi tutti sopravviviamo,
anche chi ha problemi più gravi degli altri.
A chi come i Kirwan fa del perfezionamento estetico una
professione forse questo sembrerà di minor rilievo rispetto alla migliore
accettazione iniziale che la bimba secondo loro riceverebbe da parte degli
altri; ma il punto è che la sua potenziale conformità a un modello condiviso di
piacevolezza estetica potrà darle un aiuto, ma non cambierà il fatto che dei
Down lei continuerà ad avere in maniera più lieve o più grave le difficoltà
fisiche e soprattutto cognitive.
Senza voler essere contrari in linea di principio a chi
ricorra alla chirurgia, soprattutto se si tratta di interventi correttivi e non
di mero abbellimento, il risultato finale che si desidera ottenere è in qualche
modo fingere che la sindrome non ci sia. A che scopo? Chi è genitore di un
bambino disabile – e la generale riprovazione da parte dei genitori di Down che
hanno commentato la notizia nei forum e sulla stampa di fatto lo conferma –
solitamente desidera che il proprio figlio sia accettato e rispettato per
quello che è, e non piuttosto accolto in virtù di un camuffamento. Che potrebbe
magari sortire l’effetto di far sentire gli altri in difficoltà in un secondo
momento, quando quelli si renderebbero conto del problema che c’è, e far loro
adottare un comportamento non coerente e possibilmente incomprensibile a chi la
trisomia 21 ce l’ha e ce l’avrà sempre, pur se con gli occhi meno visibilmente
a mandorla e il naso meno piatto.
Quando la signora Kirwan dice di volere solo che sua figlia
sia felice, da un lato esprime con limpido candore il desiderio naturalissimo
di ogni genitore perché suo figlio sia sereno, soddisfatto, risparmiato dal
dolore. Dall’altro sta esprimendo il suo rifiuto della condizione della figlia,
che in qualche modo, nelle condizioni in cui è, lei stessa per prima ritiene
impossibilitata ad essere felice. Più che investire il suo tempo a comunicare
al mondo le sue velleità, non le farebbe male parlare un po’ con chi ha figli
Down ormai adulti, e con i Down stessi. Per scoprire che la felicità ognuno se
la trova a suo modo, e che non sono due bei ritocchi al viso a garantirti il
passaporto certo per il benessere.