Storia di quella ragazzina rasata a zero perché non voleva il velo
13 Aprile 2017
Da Siena a Bologna a Pavia, da Torino a Bassano del Grappa fino a Sant’Anastasia (Napoli), in pochi giorni la cronaca ci ha presentato una serie di fatti che cozzano con l’idea della integrazione “senza se e senza ma” che anche nel nostro Paese va per la maggiore. Storie unite da degli elementi ricorrenti: il velo, i costumi occidentali da non imitare, i matrimoni forzati, la violenza domestica. In un parola, quell’islam che nega la libertà delle donne e non si adatta ai valori della società occidentale. Qualche giorno fa una ragazza kosovara è stata ricoverata presso il pronto soccorso dell’ospedale Le Scotte di Siena: sul corpo i segni di una violenza che le impediva la deambulazione. Sono state le compagne di classe e le professoresse a chiamare i soccorsi per poi scoprire che la liceale veniva pestata dal padre perché si rifiutava di portare il velo, leggere il Corano e imparare la lingua araba.
A Pavia, una sedicenne marocchina veniva frustrata dai familiari con il cavo del computer per via di uno stile di vita troppo simile a quello delle sue coetanee occidentali. “Mi dicevano: ‘Non sei come noi, se muori è meglio. Vuoi essere come le tue amiche italiane, solo le poco di buono si vestono come te’ “, ha raccontato la ragazzina. Aggiungendo come le molestie domestiche fossero ormai “sistematiche”. Nel mirino il padre e il fratello trentacinquenne, incoraggiati e coperti dalla madre. I protagonisti della storia accaduta in Campania sono invece due coniugi di origini marocchine. Di mezzo il burqa che la donna di ventotto anni non voleva più indossare. Le percosse inaudite, poi il sequestro nel bagno di casa in modo che le fosse impossibile chiedere aiuto. Ma da quella prigione domestica la donna è riuscita a scappare, dopo giorni e notti da incubo. Quei suoi modi di fare “all’occidentale” e il rifiuto del velo le stavano costando la vita, fino all’ultima aggressione, di cui nessuno sa perché dei dettagli niente è stato scritto. Ma evidentemente così violenta da costringerla ad urla disumane, tali da attirare l’attenzione dei vicini.
Quando i carabinieri sono riusciti a trarla in salvo hanno trovato sul corpo i chiari segni di un pestaggio già dalle lesioni al viso. Sono stati proprio loro, i carabinieri a salvarle la vita. Le urla strazianti l’hanno salvata. Il marito adesso è nel carcere napoletano di Poggioreale per minacce aggravate e sequestro di persona, e attende la convalida del fermo da parte del gip del tribunale di Nola. A Bassano del Grappa, solo quando le tumefazioni sul corpo di una quindicenne sono diventate evidenti è intervenuto il preside, sollecitato dai compagni di classe a dire la verità. Quando il padre, di origine africana e musulmano, ha visto la figlia uscire di casa senza il velo, non ce l’ha fatta più. “La priorità di un pubblico amministratore in questi casi è la sicurezza della ragazzina: arrivo a dire che ci interessano poco le ragioni che hanno portato il padre a picchiarla con violenza: sono comunque fatti inaccettabili, che non devono succedere mai” commenta Ermando Bombieri, vicepresidente dell’Unione montana Valbrenta.
A Torino, una ragazzina di 15 anni di origini egiziane è stata promessa in sposa ad uno sconosciuto di dieci anni più grande di lei. Mentre il fatidico giorno si avvicinava, e con esso gli incubi, il malessere, la paura, la madre la preparava al ‘lieto’ evento. E le diceva, in tutta tranquillità, che non sarebbe più andata a scuola: in questo islam italiano a una moglie non serve l’istruzione. La ragazza avrebbe potuto lamentarsi quanto voleva, ma il suo destino era essere spedita in Egitto dalla futura suocera. Un matrimonio combinato che impediva alla giovane anche solo di prendere sonno. Aveva pensato anche al suicidio. Tagliarsi le vene dei polsi poteva essere una soluzione – dal suo punto di vista, ma non ci era riuscita. Così una compagna di classe l’ha convinta a rivolgersi alla polizia. Alla presenza del preside, e della dirigente del commissariato, la quindicenne ha raccontato che la cerimonia di fidanzamento si sarebbe svolta di lì a tre giorni e che a casa era tutto pronto: banchetto nuziale, vestito rosso e viaggio in Egitto. Adesso è affidata ad una comunità tramite l’Ufficio Minori del Comune di Torino.
Da Bologna è arrivato ancora un altro segnale inequivocabile alle adolescenti italiane di famiglie islamiche: se il velo non vi sta bene, e sono i costumi occidentali il vostro modello, vi rasiamo a zero. È successo ad una quattordicenne del Bangladesh residente nel bolognese: il rifiuto di rispettare l’obbligo del velo ha trovato nel taglio di tutti i capelli la punizione scelta dalla madre. ‘Nessun pentimento, i nostri sono normali obblighi religiosi’, dicono. D’altro canto giurano che quel gesto è arrivato dopo mesi di obblighi traditi. Non si può uscire con le coetanee, non si può parlare con i coetanei di sesso maschile, non ci si toglie mai il velo. Evidentemente le vessazioni non bastavano. Così come il cappuccio non è bastato a nascondere la testa rasata. In ogni caso tutto il nucleo familiare verrà inserito in un percorso con i servizi sociali. Negli ultimi due giorni sono stati interrogati i genitori, i professori, la vittima e le due sorelle di 16 e 17 anni, che per ora restano in famiglia: accettando il velo, a differenza della sorella che è stata sottratta ai genitori, non sarebbero in pericolo.
La miccia del fanatismo islamico è facilmente infiammabile. Ama sfregarsi contro il tessuto dei valori occidentali. E adesso pare trovare la quantità di ossigeno necessario a prendere fuoco anche nell’atmosfera tutta italiana. Fino adesso, infatti, non si può dire che in Italia si respirasse la stessa aria che c’è in altri Paesi europei, dove la “purificazione” dai costumi occidentali è un progetto molto più vivo e articolato. Le donne che vanno in giro per l’Italia non sono ancora costrette a subire quel che accade nel nord Europa, dove vestire all’occidentale e non essere accompagnate da un uomini appartenenti alla famiglia, vuol dire essere spesso vittime – per fare solo un esempio – di pratiche come la “taharrush“. La donna viene circondata da un gruppo di uomini, dieci, venti, talvolta di più, mentre altri fanno da palo e sviano i curiosi. Dal gruppo si staccano tre o quattro che iniziano a toccarle il seno, il sedere, mettere le mani sotto la gonna o strapparle le mutande. Il termine è di origine araba e vuol dire letteralmente “molestia collettiva“. Per intenderci la tecnica delle aggressioni avvenute a Colonia. In internet si può trovare un video che ne esplica le dinamiche: l’urlo che si sente sul finale è agghiacciante.
Chi sta messo peggio nella logora e vecchia Europa? Qualcuno giura che la Svezia abbia ormai superato di gran lunga le pur ‘competitive’ Germania e Inghilterra. Basta spiare dalla fessura svedese e vedere che in una scuola elementare musulmana bambini e bambine vengono separati sull’autobus e durante le lezioni di sport. Per il primo ministro è qualcosa di “spregevole”. Qualcun altro l’ha definita “segregazione obsoleta”. Altro genere di reazioni e commenti, invece, per quanto accaduto in un liceo nel sud della Svezia, a Skåne. A maggio scorso, una quattordicenne svedese è stata violentata a scuola da due ragazzi arabi. Uno di loro, secondo la sentenza emessa poche settimana fa, è incapace di “comprendere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato”. Se l’è cavata, così, con 100 ore di servizio socialmente utile e 24 incontri con un’assistente sociale “al fine di imparare a prendere decisioni migliori”. L’altro stupratore, invece, perché quindicenne è stato considerato troppo giovane per essere penalmente responsabile. Il preside intervistato per commentare l’accaduto ha dichiarato che “tutti e tre i giovani coinvolti sono nostri studenti qui e tutti e tre sono, in un certo senso, vittime in questo caso. Il ragazzo che è stato condannato e ha avuto una dura punizione, il che lo trasforma in una vittima”.
E’ così che va. “Arabo buono” è diventata un’endiadi che ha creato un riflesso condizionato, una corsia preferenziale per il cervello umano: l’immigrato è una vittima per definizione, e la ragazzina che denuncia lo stupratore pachistano, una bugiarda. In Rete ci sono blog che hanno provato a fare il conto di quante donne o ragazze subiscono molestie o violenze sessuali in Europa, come abbiamo appena raccontato. Ogni 4.8 secondi ha scritto Counter currents, facendo un calcolo che va senz’altro verificato, ma che appare comunque plausibile se pensiamo a storie come quella di Rotherham, dove migliaia di ragazzine sono state abusate negli anni nel silenzio più completo dei media e di una intera comunità. Intanto, ripensiamo alle storie di cronaca che riguardano l’Italia. Chissà cosa succederà quando i campanelli d’allarme saranno sirene che non cantano più.