Storia di una donna che ha deciso di abortire perché troppo precaria (e irresponsabile)

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Storia di una donna che ha deciso di abortire perché troppo precaria (e irresponsabile)

01 Maggio 2008

Permettersi di esprimere opinioni sulle vicende più intime degli altri è sempre l’ultima cosa da fare. E poi nelle tante esternazioni ascoltate sul tema aborto e difesa della vita nelle settimane di campagna elettorale, un’affermazione non è mai mancata: non si può mai giudicare una donna che prende una decisione terribile e sofferta come quella di rinunciare alla vita che sta ospitando.

La notizia odierna di cronaca però invita a un bel po’ di commenti, tanto vittimistiche, gridate a voce alta e francamente piuttosto irritanti le dichiarazioni della donna che ha deciso di abortire, ma anche di scrivere in tutta fretta una lettera-appello al Presidente Napoletano. Abortire tra l’altro con una certa determinazione: la decisione è stata presa all’indomani della scoperta di essere incinta, visto che è solo alla quarta settimana di gestazione. Ha ventinove anni, abita in un piccolo centro del Vesuviano, è una precaria. Dall’intervista rilasciata a Laura Laurenzi su Repubblica parrebbe una figlia di buona famiglia, laureata e articolata, e purtroppo con aspirazioni professionali già pesantemente frustrate. Fa parte della schiera di lavoratori instabili e nuclei familiari “da tre settimane”, quelli per cui l’aumento di pochi centesimi del prezzo di pasta e pane fa la differenza, quelli che la fine del mese la aspettano animati da qualcosa in più dell’ansia. Con il compagno mettono insieme 1300 euro al mese, e a sentire lei permettersi il lusso di un figlio, che arriva inaspettato, a queste cifre non è proprio possibile. Andando avanti a leggere si scopre che sono entrambi molto giovani, per cui legittimati a credere che i loro redditi, anche se di poco, tenderanno a crescere, che non pagano la casa essendo ospiti di una parente, e che se solo arrivassero alla soglia dei duemila euro mensili il figlio lo terrebbero con grande gioia. Perché adorano tutti e due i bambini, sono distrutti all’idea di dover rinunciare a quel cosino che l’ecografista ancora quasi non vede – con la sua data di termine corsa fissata per il 27 maggio, giorno prenotato per l’interruzione di gravidanza – ma per cui lei avrebbe già in mente il nome del padre.

Posso dire che questo appello mi ha molto irritato, senza somigliare a Maria Antonietta con la leggenda rivoluzionaria delle brioche, e senza volere necessariamente ingrossare il partito pro-life? E non sono certo isolata, a giudicare dagli interventi apparsi nel forum promosso da Repubblica, in cui tutti, dicasi tutti, danno addosso con indignazione alla signora in cerca di attenzione, e le consigliano di buttarsi con entusiasmo nell’avventura di questo figlio che dice vorrebbe tenere a tutti i costi.

Anzitutto mi sembra fuori contesto la lettera al Presidente della Repubblica, tradizionalmente investito di richieste di aiuto straordinarie o provenienti da situazioni davvero disperate. A questa signora che è in salute, è giovane, e qualche risorsa dalla sua parte ce l’ha, di nuovo, senza sembrare priva di senso della misura, vorrei azzardarmi a dire che 1300 euro, al netto di affitti o mutui, non sono pochissimi, e che non si trova in una situazione delle più disperate. Come giustamente fa notare l’intervistatrice, alla Asl le prestazioni mediche sarebbero gratuite (molti esami di prassi in gravidanza e tutte le visite che spettano al bimbo). Io aggiungo che esistono centri per mamme in difficoltà che raccolgono le attrezzature per l’infanzia semi-nuove donate da genitori benestanti, e che si organizzano entusiaste raccolte mirate di corredini e giocattoli in ogni scuola o parrocchia di quartiere. Per non parlare di realtà come Movimento per la Vita, che si è subito levata in aiuto, e i cui servizi spero questa mamma vorrà alla fine utilizzare. Ma lei, che nella lettera a Napolitano chiede che le risparmi la facile retorica del “si mangia in tre dove si mangia in due”, non replica, mentre spiega che “la mia lettera è soprattutto uno sfogo, un gesto di disperazione e di impotenza. Gli scrivo che qui non c’è nessuno che ti tende una mano quando hai veramente bisogno”. Così pare già più chiaro che se un obiettivo ha mosso l’appello, è quello di ottenere qualcosa, di ricavare l’attenzione e il rumore che magari ti fanno arrivare con facilità gli aiuti di cui ritieni di aver diritto.  Anche se pensi di avere il diritto di non far sapere nulla a tua madre, la quale invece sarebbe strafelice di far da nonna a questo nipotino. Oltre ad avere anche l’ingenuità di aggiungere che potrebbe darti una mano.  

Per carità, permettersi opinioni è l’ultima cosa da fare. Però questa ragazza dai toni alti (leggere la missiva al Presidente per credere) di obiezioni ne solleva non poche.  Anche perché nel momento in cui viene sollecitata a proposito di un’eventuale scelta di dare il bambino in adozione, risponde con decisione che non lo farebbe mai, mai potrebbe sapere che suo figlio è di altri perché lei non ha potuto mantenerlo. A quel punto uno davvero non può fare a meno di giudicare. Meglio non nato che non mio, così è per i precari trentenni convinti che di tutte le generazioni la loro sia l’unica che debba affrontare difficoltà insormontabili.