Strage a Istanbul, Erdogan: in un anno uccisi 7600 militanti del PKK

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Strage a Istanbul, Erdogan: in un anno uccisi 7600 militanti del PKK

08 Giugno 2016

I servizi di sicurezza turchi hanno ucciso circa 7.600 militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) dal luglio 2015. E’ quanto sostiene il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: “Le nostre forze di sicurezza hanno ucciso 7.600 terroristi del Pkk sia all’interno del paese che fuori i suoi confini. L’organizzazione terroristica separatista ha subito la più grande sconfitta della sua storia”. Le tensioni tra Ankara e i curdi sono cresciute nel luglio 2015, quando un cessate il fuoco tra la Turchia e il Pkk è fallito a causa di una serie di attacchi terroristici commessi da membri del Pkk. A marzo Erdogan aveva riferito che le forze governative turche avevano ucciso, ferito o arrestato più di 5.300 militanti dall’inizio dell’escalation.

Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, punta il dito, allora, contro il suo nemico favorito, i curdi del Pkk, e gli attribuisce anche la responsabilità dell’attentato che ieri mattina ha visto un’autobomba esplodere al passaggio di un autobus della polizia nel centro di Istanbul, uccidendo 12 persone (7 agenti e 5 civili) e ferendone 36.

E dopo aver fatto visita ai feriti dell’attentato: per “l’organizzazione terroristica” (Pkk) “colpire le grandi città”, come Istanbul, “non è una novità”. La polizia turca ha arrestato quattro sospetti.

L’esplosione è avvenuta vicino ad una fermata della metro non lontana dalla centralissima piazza Beyazit quartiere di Vezneciler nel cuore del Corno d’Oro di Istanbul. Numerose le ambulanze ed i mezzi delle forze di sicurezza accorsi sulla scena. Nessuno ha finora rivendicato l’attentato.

Lo scorso mese almeno 8 persone, inclusi alcuni soldati turchi, sono state uccise dall’esplosione di un’autobomba contro un veicolo militare sempre a Istanbul. In quel caso l’attacco venne rivendicato dai curdi del Pkk. Il 12 gennaio, invece, una decina di turisti tedeschi vennero uccisi da una bomba piazzata dall’Isis nel cuore turistico di Istanbul. Il 19 marzo sono stati uccisi tre israeliani e un iraniano sulla principale strada commerciale di Istanbul, Istiklal.

Il rischio attentati ha avuto forti ripercussioni sul settore turistico del Paese: lo scorso aprile sono stati circa 1,7 milioni gli stranieri registrati in Turchia, con un calo di oltre il 28% rispetto allo stesso mese del 2015. Anche i turisti russi, in seguito all’abbattimento di un jet militare di Mosca da parte di Ankara, hanno cambiato meta.

La Turchia è oggi considerato il 145 ° (di 163) paese più pericoloso al mondo, secondo i dati diffusi mercoledì dal Global Peace Index. La violenza in corso nel Sud-Est del paese e le proteste esplose tre anni fa con la dura repressione del movimento di Gezi Park sono costate al Paese quasi il 10% del suo Pil o 113 miliardi di dollari nel corso dell’ultimo anno, ha stimato l’Institute for Economics and Peace. L’escalation di violenza nella repressione e di attentati non pare cessare.

Il ministero degli Esteri tedesco ha convocato, per giunta,  qualche giorno fa l’incaricato d’affari turco in merito alle minacce di morte ricevute dai parlamentari tedeschi di origini turche dopo il voto al Bundestag che ha riconosciuto il genocidio armeno, mentre il presidente Erdogan li ha accusati di sostenere il “terrorismo”.