Strage di Viareggio. Dossier rivela responsabiltà di decine di persone
19 Giugno 2010
di redazione
Lo dicono gli accertamenti tecnici e scientifici. Lo suggeriscono i dossier depositati in Procura dagli esperti, lo confermano documenti e norme, comunitarie e non. Ma, soprattutto, ne sono convinti i magistrati di Lucca che da un anno lavorano a questa inchiesta: Rfi, la Rete ferroviaria italiana (società controllata dal Gruppo Fs) avrebbe avuto un ruolo nelle responsabilità per la strage di Viareggio. Rete ferroviaria si occupa di tutto ciò che riguarda l’infrastruttura di terra: i binari, il movimento treni, l’installazione degli impianti, la manutenzione e la gestione della circolazione.
L’amministratore delegato è l’ingegner Michele Mario Elia dal 2006, anno in cui ha preso il posto dell’attuale amministratore delegato di Fs, Mauro Moretti. La sera del 29 giugno dell’anno scorso un treno merci deragliò, a Viareggio, con le sue 14 cisterne cariche di gpl e di morte: una di quelle cisterne si bucò e il gas incendiò un quartiere intero. Trentadue vite incenerite, decine di feriti e danni che ancora oggi nessuno sa quantificare con precisione. Qual è stato l’anello debole nella catena della sicurezza? E chi ne è responsabile? Stanno per essere iscritti nel registro degli indagati decine di nomi. E mai come in questa indagine i "profili di responsabilità", come li definiscono gli inquirenti, appaiono trasversali: dai manager agli impiegati, dagli addetti alla manutenzione ai tecnici.
Gli inquisiti, appunto, sono ancora tutti formalmente da iscrivere nel registro. Questione di giorni e comunque prima dell’anniversario della strage: così è stato deciso in uno degli ultimi vertici nella procura di Lucca fra i periti, il procuratore capo Aldo Cicala, il pubblico ministero Giuseppe Amodeo, i tecnici, gli esperti della polizia ferroviaria e il procuratore generale di Firenze, Beniamino Deidda. Le ipotesi di reato: omicidio colposo plurimo, incendio colposo e disastro ferroviario.
Fra le persone sott’accusa (questi già iscritti) ci sono Joachim Lehamann, Andreas Schröter e Uwe Kriebal, i dirigenti dell’officina Jugenthal di Hannover, dove fu controllato il pezzo che poi si ruppe facendo deragliare il treno. Era una boccola, cioè una specie di enorme cilindro che si trova alle estremità di ognuna delle ruote del treno. Gli altri nomi individuati dalla procura come possibili responsabili dell’incidente sono quasi tutti italiani e fra loro, appunto, anche quelli legati a Rfi.
La Procura sarebbe arrivata alla conclusione che non è stato fatto tutto il necessario per rendere sicura la rete sulla quale circolano i treni ed evitare, quindi, incidenti come quello di Viareggio. Un punto in particolare sarebbe stato messo a fuoco dagli inquirenti: una vecchia disposizione interna scritta e protocollata dalla direzione tecnica di Rfi nella quale si indicavano come pericolosi i picchetti che servono a tracciare le curve. Nella stessa disposizione si diceva che sarebbero stati gradualmente eliminati, cosa però mai avvenuta, se non sulle linee dell’alta velocità dove i picchetti non ci sono più. I magistrati sono convinti che sarebbe stato proprio un picchetto a squarciare la cisterna dalla quale è fuoriuscito il gpl. E in questo caso da un punto di vista penale farebbe la differenza averli sostituiti (esistono sistemi ottici alternativi) o averli tenuti pur sapendo che non sono sicuri.
Ovviamente i picchetti sono fra la strumentazione di cui è responsabile Rfi che però nelle relazioni firmate dalla sua commissione d’inchiesta propone una spiegazione diversa: lo squarcio sul fianco della cisterna sarebbe da attribuire all’impatto con «un pezzo della controrotaia di uno scambio» che nello schianto fu «piegata a zampa di lepre». La controrotaia non è un pezzo sostituibile né è possibile piazzarla in modi alternativi. Quindi se Rfi avesse ragione (cosa di cui si è convinto anche Mauro Moretti) nessuno potrebbe attribuirle la responsabilità dello squarcio.
Ma tutto questo sarà discusso semmai nel processo che, come dice il procuratore Deidda, «è ancora piuttosto lontano». Un anno di accertamenti che più tecnici non si può, dodici mesi a dipanare la matassa di mille norme che si prestano a più di un’interpretazione, una marea di tempo per ottenere con le rogatorie, e poi tradurre, i documenti della Gatx (il colosso americano proprietario del vagone deragliato) oppure quelli della Jugenthal che a novembre del 2008 controllò l’asse del carro e non vide l’anomalia alla boccola, origine del disastro. «Tanto lavoro e non siamo che a metà dell’opera» conferma chi lavora al caso Viareggio. «Iscrivere questo o quello nel registro degli indagati non ci aiuterà ad accorciare i tempi e per arrivare alla chiusura delle indagini». Davanti a capitoli giudiziari ancora tutti da scrivere una cosa è certa: c’è ancora molto da fare.