“Su contratti e privatizzazioni il Pdl non cambierà rotta”

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“Su contratti e privatizzazioni il Pdl non cambierà rotta”

Gentile direttore,

alla vigilia della discussione in Parlamento avvertiamo la responsabilità d’intervenire nel dibattito sulla manovra economica. E intendiamo in primo luogo ricordare a noi stessi e a tutti i parlamentari le ragioni per le quali questo provvedimento si è reso necessario, e in tempi record.

Il mondo occidentale è stato investito da una crisi economico-finanziaria senza precedenti, in grado di scardinare egemonie consolidate e far intravedere scenari geo-politici del tutto inediti. Questa crisi ha destabilizzato anche l’Europa, le sue fondamenta, quella moneta unica che è la frontiera più avanzata della sua integrazione. In questo scenario l’Italia si è trovata in pericolo. Il nostro Paese, infatti, fa da trait d’union tra gli Stati grandi e piccoli dell’Unione, e da cerniera fra l’Europa che gravita sul Mar Baltico e l’Europa che affaccia sul Mediterraneo: caratteristica, quest’ultima, non estranea allo sviluppo duale del nostro Paese che la crisi ha provveduto ad accentuare. Infine, l’Italia ha problemi storici – dall’abnorme debito pubblico accumulatosi nei decenni al costo eccessivo della macchina statale, dall’approvvigionamento energetico all’irrisolta questione meridionale – che ne minano la solidità e la rendono bersaglio di quanti, per ragioni speculative o per più ambiziosi obiettivi geopolitici, abbiano interesse ad accelerare la crisi in atto.

Sapevamo di dover fare i conti con questi ritardi e avevamo iniziato a farlo. Credevamo di avere più tempo a disposizione. Invece, le dinamiche della crisi ci hanno chiesto di accelerare, innanzitutto sul fronte del debito, per raggiungere nel 2013 lo storico risultato del pareggio del bilancio. Sottrarsi a questo imperativo avrebbe significato mettere a repentaglio la stabilità del Paese e accentuare le difficoltà dell’Europa.

Il primo requisito della manovra, dunque, è che essa sia efficace nel fronteggiare la crisi e rispondere alle richieste delle istituzioni comunitarie. Ciò è stato assicurato e la tempesta sui mercati ha vissuto momenti di decongestione. L’Europa e i suoi leader si sono congratulati con noi. Ma sarebbe un grave errore ritenere che la ritrovata tranquillità sopravviverebbe ad atti che contraddicessero l’assunzione di responsabilità della quale siamo stati capaci.

Ricordare la successione drammatica degli eventi serve a ribadire le priorità che abbiamo davanti: varare un provvedimento efficace per il fine che lo ha reso necessario, e incidere il più possibile sui dati strutturali che hanno trascinato l’Italia nell’improvvisa emergenza. A questo proposito, sottolineiamo l’importanza di alcuni capitoli della manovra in discussione. Il decentramento aziendale della contrattazione sindacale concede al nostro sistema di relazioni industriali una flessibilità in passato tante volte invano ricercata e, se sfruttato a dovere, può divenire la leva per rivoluzionare il nostro Mezzogiorno. Sui costi della politica si fa sul serio, abolendo un numero cospicuo di poltrone, secondo criteri strutturali e non effimeri, alternativi alla falsa idea secondo la quale la politica e i politici siano un costo del quale una democrazia possa fare a meno. Sarebbe un segnale di grande maturità se si approvasse anche questa parte della manovra senza cedere a tentazioni corporative che, invece, in questi giorni abbiamo visto affiorare in altri settori della società italiana. Per la prima volta, inoltre, si potrà raggiungere un risultato che, non casualmente, vogliamo anche inserire nella nostra Carta fondamentale: l’Italia spenderà ciò che incassa, non un centesimo di più, come fa ogni buon padre di famiglia.

Questa manovra, insomma, scaturisce da una situazione di emergenza testimoniata dalla sua stessa ampiezza. E ciò aiuta a comprendere perché abbia inevitabilmente suscitato critiche e dissensi diversi che talora sul piano logico si elidono. Essa però è anche una grande opportunità proprio sul terreno dell’auspicata riforma liberale: in particolare per quanto riguarda le privatizzazioni e le previste liberalizzazioni, soprattutto dei servizi pubblici locali, che se non lasciate cadere potranno produrre conseguenze davvero rilevanti.

Si poteva fare ancora di più e meglio? Senz’altro. Ma, oltre le fisiologiche mediazioni tra le forze politiche, è stata privilegiata quella pace sociale che in questi anni difficili il nostro Paese ha saputo mantenere.

Si potevano fare scelte più eque? Anche in questo caso la risposta è affermativa. Ma tutti gli sforzi per garantire l’auspicata equità hanno dovuto tener conto dell’efficacia, imperativo categorico imposto dalle contingenze. La manovra ha chiesto di più a chi ha di più. In un Paese in cui il tasso di evasione è ancora così insopportabilmente elevato nonostante i recuperi record degli ultimi anni, per chi ha una visione liberale della società perseguire l’obiettivo empirico dell’equità significa anche misurarsi con i dati di realtà e tenerne conto. In caso contrario, si finirebbe col vagheggiare giustizie assolute e paradisi in terra tipici di ben altre ideologie, e contraddire quegli stessi obiettivi in nome dei quali si agisce. Insomma: qualunque soluzione presenta il rovescio della medaglia.

In conclusione: come responsabili della principale forza della maggioranza siamo aperti al dibattito e a ipotesi migliorative che dovessero emergere in Parlamento, da qualunque parte esse provengano così come, in previsione dell’arrivo della manovra in Senato è stato auspicato dal Presidente Schifani. Ribadiamo tuttavia, in questa vigilia così densa di responsabilità, due punti fermi sui quali non siamo disposti a negoziare: la manovra non può essere stravolta nei suoi equilibri interni, anche per non offrire al contesto internazionale che l’ha apprezzata una sensazione di schizofrenia; e i miglioramenti non possono avvenire a discapito della celerità della sua approvazione, oggi come ieri quanto mai necessaria.

(Tratto da Corriere della Sera)