Su Iraq ed economia si gioca la corsa alla Casa Bianca

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Su Iraq ed economia si gioca la corsa alla Casa Bianca

Su Iraq ed economia si gioca la corsa alla Casa Bianca

01 Maggio 2008

L’American Enterprise Institute, storico think tank che dal
1943 si occupa di promuovere la ricerca e il dibattito in merito a temi di
economia, politica, benessere sociale, istruzione e immigrazione, prosegue con
la propria analisi elettorale, che continuerà sino ad esaminare il voto negli
USA del 4 novembre. Una commissione di esperti, giornalisti ed analisti
politici d’oltreoceano ha analizzato e commentato la corrente situazione delle primarie statunitensi, confrontandosi
su temi come il conflitto in Iraq e l’economia, approfondendo la corsa verso le
presidenziali e delineando un possibile scenario per i prossimi mesi.

La
studiosa Karlyn Bowman, scienziata politica ed
editorialista per l’AEI, ha
aperto i lavori soffermandosi brevemente sulle utili ed esaustive tabelle dei
sondaggi pre-elettorali fornite ai partecipanti all’evento (election watch
V – tabelle riassuntive
). La crisi economica figura ancora in
aumento tra le preoccupazioni dell’elettorato americano (per più dell’80% degli
elettori, l’economia sta andando molto male); in relazione a tale dato, è
comprensibile come il tasso di gradimento della Presidenza Bush sia sceso sotto
i minimi storici (superando a malapena il 30%). Ciò in parte spiega anche
perché un qualsiasi candidato Democratico – a prescindere dai risultati della
sfida tra Hillary e Obama – viene percepito come più adatto a risolvere i
problemi economici del paese, rispetto alla sua controparte Repubblicana.
Bowman ha a questo punto sottolineato come le voci che danno Clinton come il
candidato più forte in grado di tenere testa a McCain non siano affatto supportate
dai sondaggi; è importante ricordare che la sfida in casa Democratica è ancora
aperta, ma che nel frattempo John McCain sta lavorando giudiziosamente
incrementando poco alla volta – ma stabilmente e costantemente – il consenso
Repubblicano. Tuttavia, un altro tema penalizza i Repubblicani nella corsa alla
Casa Bianca: in seguito alla testimonianza del Generale Petraeus al Congresso,
si è potuto verificare come la percezione del paese riguardo all’intervento in
Iraq non è cambiata. Secondo l’elettorato statunitense, la guerra è stata e
rimane un grave errore. La surge può
anche aver portato risultati apprezzabili; tuttavia, il consenso per questa
manovra è tiepido, e non è destinato ad aumentare.

James Glassman, editore della
rivista The American, che presiede e modera l’incontro, interviene a questo
punto evidenziando come la capacità di restare in corsa di McCain – a fronte
dell’apparente vantaggio nei sondaggi dei Democratici – non sia quasi
sorprendente. Lo studioso avanza l’ipotesi secondo la quale la forza del
candidato Repubblicano è in parte dovuta alla sua abilità nel prendere le
distanze dalla presente Amministrazione Bush, unitamente ai toni accesi che la
lotta tra i due candidati Democratici ha assunto (secondo più della metà dei
simpatizzanti del loro stesso partito, il confronto ha troppo spesso mostrato
toni sleali ed eccessivamente ostili); ed infine, all’appeal di McCain tra gli indipendenti (coloro che non si
identificano in nessun partito), oltre che tra la quasi totalità dei membri del
suo partito.

Bowman ha ripreso la
parola, concordando con Glassman. La studiosa ha proseguito il proprio
intervento richiamando l’attenzione dei presenti alla recente delibera di
alcuni comuni del Minnesota, i quali hanno respinto la proposta di estendere
l’apertura degli esercizi commerciali (nello specifico bar) dalle 2 alle 4 del
mattino in vista delle convention
estive dei due partiti. Questo segnale, osserva la studiosa, potrebbe essere
indicativo di un fronte liberal che percepisce
la propria debolezza in vista delle prossime elezioni presidenziali: il Partito
Democratico sembra dunque pronto a rinnegare le sue consuete posizioni, che sin
dagli anni 20 hanno condannato il Grand Old Party per l’instaurazione del
proibizionismo, accantonando le proprie politiche sociali solitamente molto
permissive a favore di regolamentazioni più rigide, non appena reputi di poterne
trarre vantaggio. Bowman ha infine concluso il proprio corposo intervento
ricordando un’altra sfida importante, che tutto l’American Enterprise Institute
sta seguendo con attenzione e passione: l’elezione del sindaco di Londra del 1
maggio, nella quale Ken Livingston -“amico di Fidel Castro e Hugo Chavez”-
marca strettamente l’avversario conservatore Boris Johnson.

John C. Fortier – scienziato politico ed
editorialista – concorda con Bowman sul fatto che, nella corsa alle presidenziali
2008, le prospettive non sono decisamente tra le più rosee per i Repubblicani;
tuttavia, le elezioni congressuali stanno fornendo segnali contrastanti,
mostrando un Partito Repubblicano in difficoltà, ma certamente non ancora
sconfitto. Barack Obama, nel frattempo, si dimostra sempre il più abile nella
raccolta fondi (circa 41 milioni di dollari, contro ai 20 di Clinton e ai 15 di
McCain). Per quanto riguarda il futuro candidato alla Presidenza per il Partito
Democratico, Fortier si dichiara certo dell’“inevitabilità” con la quale la scelta
ricadrà sull’ex Senatore dell’Illinois, nonostante i risultati delle primarie
della Pennsylvania. Con una punta di sarcasmo, lo scienziato politico
puntualizza che ci vorrebbero almeno 10 Pennsylvania prima che Hillary
riuscisse a recuperare il proprio svantaggio verso Obama. Non ci sono altre 10
Pennsylvania, nota Fortier; ma un mix di Stati eterogenei, in parte favorevoli
a Clinton, in parte a Obama, che con tutta probabilità manterranno il quadro
finale approssimativamente come si presenta oggi.

D’altra
parte, prosegue Fortier, sono emerse recentemente alcune perplessità riguardo
alla capacità di Obama di rappresentare adeguatamente la classe media
lavoratrice bianca -difficoltà manifestatesi chiaramente con il predominio di
Hillary in Ohio e Pennsylvania. Recentemente, il Senatore dell’Illinois ha
tenuto un discorso a San Francisco nel quale ha accusato l’elettorato WASP di
essere eccessivamente legato alla religione, ai fucili e ai propri interessi
economici -rimprovero che questa parte sociale non ha gradito, e che potrebbe
costare voti importanti a Obama.

James
Glassman ha a questo punto dato la parola a Norman J. Ornstein, scienziato politico ed esperto di politiche
pubbliche, il quale nel precedente appuntamento dell’election watch si era dichiarato certo che Obama potesse vincere la
nomination come candidato alla
Presidenza per il Partito Democratico. Glassman
ha posto a Ornstein la quesitone dei superdelegates
-i
membri della Commissione Nazionale Democratica che non sono tenuti ad indicare
la propria preferenza in relazione alla propria candidatura, e che in seguito
alla conquista di Clinton della Pennsylvania potrebbero compattarsi intorno a
Hillary e dunque cambiare l’orientamento politico delle primarie, per ora più
favorevole a Obama. Ornstein, in collegamento telefonico
da Bruxelles, è intervenuto a ricordare che il vantaggio di Obama su Clinton è
ancora considerevole. Ovviamente i calcoli possono essere effettuati in modi
differenti, dato il complesso sistema statunitense; Ornstein tuttavia,
scegliendo di conteggiare i risultati dei caucuses
oltre che quelli delle primarie, ma escludendo Florida e Michigan (resta ancora
da decidere come si effettuerà il conto dei delegati di questi Stati), conclude
che il vantaggio di Obama dopo il 3 giugno, data nella quale si chiuderà il
voto, sarà circa di 100 delegati su Clinton; secondo lo studioso, Obama avrà
anche più voti, e più Stati. I superdelegates
a questo punto non potranno negare la nomination
a Obama: l’ipotesi che Clinton possa essere un avversario più adatto a sfidare
McCain è insostenibile, semplicemente perché i sondaggi non danno alcuna
indicazione chiara in proposito ed anzi presentano i candidati in sostanziale
parità.