Su Libano e immigrazione stavolta ha ragione Calderoli
11 Aprile 2011
di redazione
La fucina leghista non smette mai di lavorare, soprattutto quando si parla di immigrazione clandestina. Neanche nelle ore placide della Santa Domenica. Dopo il ‘fuera dae ball’ di Bossi dieci giorni fa, l’altro ieri è stato il turno di Roberto Calderoli, il ministro per la semplificazione. Anche lui ha voluto lanciare il suo sasso nello stagno. Il ministro leghista ha proposto di ritirare le truppe italiane dal Libano, impegnate in Unifil II, per utilizzarle nel contenimento del flusso migratorio da Libia e Tunisia. Un’uscita sintetizzata dal diretto interessato in tre punti: “aiutiamoli a casa loro, svuotiamo la vasca e chiudiamo un rubinetto che, purtroppo, ancora sgocciola”. Spesso abbiamo criticato le uscite leghiste, soprattutto quando spingevano all’imposizione di una linea isolazionista dell’Italia, in particolare sull’Afghanistan. Ma stavolta come dare torto a Calderoli. Altro che stillicidio, sig. ministro.
La migrazione dal Maghreb rischia di essere nuovo cavallo di Troia di quella che è già ‘pressione sbilanciante’ dell’islam nella nostra Italia (tanto per riprendere le parole del poeta Guido Ceronetti), le cui implicazioni sociali e politiche possono avere disastrose conseguenze sull’intera politica nazionale. Per questo chiedere un ritiro delle forze italiane da Unifil II non deve essere considerata provocazione eretica, soprattutto in una fase politica internazionale che vede tornare in auge l’interesse nazionale degli Stati, anche in campo occidentale. Se gli americani decidono di ritirarsi di fatto dalla Libia, visto che il loro interesse nazionale non è in gioco, perché noi italiani non dovremmo invece difenderlo quando in ballo c’è proprio il nostro? Nel 2006, il governo Prodi – la cui nefasta politica estera era guidata da D’Alema – fece di tutto per mandare le truppe italiane sul confine israelo-libanese. A distanza di cinque anni, è giunta l’ora di ragionare sulla missione Unifil II e i suoi fallimenti.
Domanda: in Libano perché siamo andati? Per proteggere Israele e difendere il suo diritto a esistere benché dubitiamo che fosse il primo obiettivo del titolare della Farnesina di allora, Massimo D’Alema, il quale fu pizzicato a camminare amenamente per Beirut a braccetto con un politico di Hezbollah. Ma soprattutto siamo andati a disarmare Hezbollah, la milizia sciita che di fatto provocò la guerra tra il Libano e Israele nel 2006. Ora, non solo Unifil II non ha disarmato Hezbollah – vedi caveat ridicoli – ma non è neanche riuscita a impedirne il riarmo. Una situazione grottesca – non nuova a certe missioni onusiane – che non regge più, soprattutto se si tiene conto che oggi il partito di Dio condiziona massicciamente la politica di Beirut. Unifil II può piacere oramai solo al piccolo Chamberlain pugliese, D’Alema. Ma non deve più piacere all’Italia. Ben venga il ritiro.