Su un tema come il diritto alla vita l’ideologia fa solo danni

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Su un tema come il diritto alla vita l’ideologia fa solo danni

10 Gennaio 2008

Tornare a
parlare di aborto in Italia serve. A trent’anni esatti dalla 194 non si può più
relegare al rango di discussione incidentale un tema importante come il diritto
alla vita del nascituro. Ma l’impressione è che se da un lato gli abortisti
sono compatti e organizzati quasi “militarmente”, l’altra parte soffre di
confusione circa i termini del problema e l’obiettivo ultimo da perseguire. Che
non è l’applicazione rigorosa della 194 o una sua modifica in senso
restrittivo, ma più semplicemente la sua abrogazione. E su questo concetto gli
antiaboristi sembrano partire già azzoppati, ammesso che ancora esista un
fronte antiabortista omogeneo.

Si tratta di
una questione meramente tattica: non bisogna fare confusione tra scopo e tappe intermedie
per cercare di realizzarlo. È evidente che per chiunque (laico o cattolico) si dichiari
contro l’aborto qualunque legge abortista non può essere lecita. Non regge
l’affermazione per cui “sono contrario all’aborto, ma devo permettere ad altri
di poterlo fare” perché non si tratta di una scelta personale della donna, ma
della vita e della futura libertà di un terzo, cioè il bambino. Quindi una
questione in cui il potere politico non solo non si intromette indebitamente, ma
ha anche il preciso dovere di intervenire. Questo errore concettuale non a caso
è stato il grimaldello del successo radicale e post-sessantottino, con cui sono
stati traghettati voti referendari di persone sinceramente pro-life ma ingenue
e poco preparate. E oggi a farne le spese sono tante ragazze che rimangono sole
e senza aiuto in momenti pieni di disperazione e angoscia.

Che gli
alfieri della 194 siano tatticamente più preparati lo dimostrano due cose in
particolare. Innanzitutto le continue strumentalizzazioni dei discorsi del
Card. Ruini. Quando Ruini spiega che modificare la legge è doveroso, la stampa
e i media allineati (purtroppo la maggioranza del circuito giornalistico
italiano) dimenticano sempre di specificare e inquadrare il contesto delle sue
parole. Egli ha sempre affermato che la posizione cattolica è di ferma
contrarietà alla soppressione della vita innocente: “sarebbe meglio che quella
legge non ci fosse, però c’è” ha affermato all’apertura della Summer School
della fondazione Magna Carta. Prende atto cioè del fatto che non ci sono le condizioni
culturali per parlare di cancellazione. E dunque occorre lavorare per una applicazione
severa e, se possibile, aspirare alle modifiche per ottenere il male minore. Sfruttando
nel frattempo all’interno della società tutti gli altri mezzi a disposizione
per modificare il trend storico-culturale.

In secondo
luogo vanno registrate le affermazioni imbarazzanti di alcune personalità
politiche. Mi riferisco ad esempio al ministro della sanità Livia Turco
(seguita a ruota da Walter Veltroni) che qualche giorno fa ha dichiarato, più o
meno testualmente, che è lecito discutere e stimolare un dibattito nel paese,
ma senza nessuna implicazione di sorta per la 194, dalla quale giù le mani
tutti. In pratica, ammantare di democrazia e pluralismo atteggiamenti intransigenti
e puramente ideologici. Immaginiamo che la graziosa concessione del ministro
fosse presa sul serio e salutata come una apertura: se da un lato si avrebbe
l’impressione di portare avanti delle ragioni democraticamente, cioè auspicando
di diventare maggioranza, dall’altro vengono posti limiti tali da ghettizzare i
contrari alla legge e, conseguentemente, stabilire quali opinioni possano avere
o meno diritto di cittadinanza.

In tutto ciò i
cattolici democratici sono relegati al solito ruolo di “utili idioti”. Per Rosy
Bindi, che ha definito “strumentale” la moratoria di Ferrara, “il paese non è
pronto per un’altra lacerazione così profonda”. Ci spieghi allora perché le
uniche lacerazioni che vanno tollerate sono quelle del raschiamento del feto
nell’utero materno. Chiedendosi anche se il paese reale, non quello fumoso e
inconsistente di certi discorsi retorici e anche un po’ giacobini, non
trarrebbe beneficio da una corretta informazione sull’interruzione di
gravidanza, cosa che in Italia ancora non si riesce a fare.

Indubbiamente,
poter spiegare alla gente cosa siano l’aborto e le sue conseguenze sarebbe già
un bel salto di qualità: un’opera di de-ideologizzazione è il primo passo verso
mete più ambiziose. A patto però che ci si sforzi di comprendere tutti i
termini della questione, sia nei contenuti che nei metodi perseguiti da certi
nuovi fondamentalisti del laicismo, e si lasci meno spazio possibile alle
ambiguità che, purtroppo, sembrano affliggere non poco chi oggi si schiera sul
fronte della vita.