Sudan. Nuova udienza per l’italiano arrestato, cresce la preoccupazione
23 Marzo 2009
di redazione
Nuova convocazione di fronte ai giudici sudanesi, questa mattina, per il tecnico italiano Pier Albino Previdi, arrestato a Juba, nel Sud Sudan, il 19 febbraio. Ne parla il figlio Tommaso, spiegando che l’uomo "si è dovuto presentare in tribunale da solo, senza un rappresentante legale", come hanno riferito alcune fonti locali con cui la famiglia è in contatto.
Uno degli avvocati inviati a Juba dalla Cec International (Gruppo Gitto), l’azienda italiana per la quale Previdi lavora come consulente, avrebbe infatti lasciato il paese nei giorni scorsi. Nessuna notizia si ha, al momento, sull’esito dell’udienza che, come spiega il figlio del tecnico di Marradi, in provincia di Firenze, "certo non mette fine all’infinita vicenda che da settimane tiene sotto scacco tutta la mia famiglia".
Secondo un creditore locale della Cec International, che gestisce a Juba alcuni appalti, l’azienda avrebbe pagato alcune forniture con assegni non coperti. Previdi, pur non avendo alcun potere in materia di pagamenti, è stato arrestato in seguito a una denuncia del creditore, in quanto unico rappresentante dell’azienda italiana a essere rimasto sul posto.
Il ministero degli Esteri e l’ambasciata italiana a Khartoum si sono immediatamente mobilitati, ottenendo in un primo momento la scarcerazione di Previdi, rimasto tuttavia per alcuni giorni sotto stretta sorveglianza. Il 2 marzo, in seguito a una richiesta del creditore, Previdi è stato ricondotto in carcere e da allora condivide una cella con 45 altri detenuti.
Il 9 marzo è stato convocato per la prima volta in tribunale. "La nostra angoscia è inimmaginabile – afferma il figlio Tommaso – acuita anche dalle scarse informazioni che transitano tra quei luoghi e l’Italia". Il giovane spiega di aver ricevuto nelle scorse settimane "rassicurazioni" sul fatto che il padre, "anche alla luce delle sue condizioni di salute e della sua totale estraneità alla vicenda patrimoniale, sarebbe uscito dal carcere e rientrato presto in Italia sano e salvo. Per questo avevamo scelto di adottare una strategia basata sul silenzio". Ma, prosegue, "la situazione è oggi ancora senza concreti sviluppi e senza prospettive".
La famiglia del tecnico è preoccupata per le sue condizioni di salute, visto che alcuni anni fa l’uomo ha avuto gravi problemi cardiaci che lo costringono a prendere quotidianamente alcuni farmaci. "Ci ha fatto sapere di essere in carcere con altre 820 persone, tra cui 82 condannati a morte – conclude il figlio – Non sappiamo quanto ancora possa resistere in quel posto".