Sugli errori delle toghe serve una legge seria che cancelli storture e privilegi
03 Febbraio 2012
Il dato politico vero, malgrado i tatticismi politici è che una maggioranza ampia e traversale certificata da una sessantina di voti in più arrivati anche dalle file Pd e Udc concorda sul fatto che è arrivato il momento di mettere mano al dossier. Di far valere, cioè, la regola del chi sbaglia paga, anche per i magistrati.
Bersani, in evidente difficoltà perché quel voto a scrutinio segreto dice che pure tra i suoi c’è chi rileva uno status quo ormai intollerabile e in contraddizione con se stesso per aver sempre sbandierato la centralità del parlamento come un totem della sinistra democratica, ora dovrà farsene una ragione. Con lui la Bindi e Franceschini che invece di minacciare il governo affinchè chiarisca i suoi rapporti col Pdl dovrebbero avere un approccio più sereno alla materia sulla quale – come era prevedibile – l’Anm si appresta ad alzare nuove barricate. Né può valere attaccarsi, come fa Travaglio, all’incostituzionalità dell’emendamento leghista passato a Montecitorio, per fare in modo magari che nulla cambi o cambi il meno possibile.
Piuttosto si può ragionare sul se quell’emendamento per come è stato scritto può essere sufficiente o meno a introdurre il concetto di responsabilità diretta dei magistrati o se invece, non sia meglio e più opportuno partire da quell’emendamento per arrivare ad una legge ad hoc che superi la Vassalli e recepisca le direttive europee attualmente e reiteratamente violate dall’Italia, al punto che siede sul banco degli imputati davanti alla Corte di Strasburgo con all’attivo ben quattro sentenze di condanna.
Se sul piano politico la volontà del parlamento è chiara, sicuramente è opportuno ragionare e mettere in campo una serie di riflessioni, di valutazioni sul piano del diritto per arrivare in tempi rapidi a una norma ex novo – come sollecitano numerosi giuristi e costituzionalisti – seria e rigorosa che sani le storture della Vassalli e stabilisca regole chiare anche per i magistrati che sbagliano, e fissi un concetto molto chiaro: i privilegi non devono esistere più per nessuno.
Attualmente la legge Vassalli prevede una clausola di salvaguardia molto ampia che, oltretutto, nella maggior parte dei casi viene utilizzata come filtro preliminare per escludere a monte i ricorsi dei cittadini. In base alla norma, lo Stato può rivalersi sul magistrato il cui errore è stato accertato ma fino a una certa cifra e solo per dolo, colpa grave o per omessa giustizia. I casi di colpa grave rientrano nella categoria ‘grave violazione di legge per negligenza inescusabile’. Uno dei pochi casi finora acclarati con sentenza di condanna, è stato quello di un pm che ha disposto una perquisizione nello studio di un avvocato senza avvertire il presidente dell’ordine forense del suo territorio come invece previsto dalla legge.
Nella sfera della ‘colpa grave’ può rientrare anche il caso di un magistrato che attesti che una certa circostanza si è verificata quando invece dagli atti del procedimenti risulta il contrario (e viceversa); oppure quando un magistrato adotta un provvedimento di limitazione della libertà personale al di fuori di quanto previsto dalla norma e cioè reiterazione del reato, pericolo di fuga, inquinamento delle prove. Ma qui il discrimine è molto sottile e può prestarsi a contestazioni sulla valutazione del fatto e sul piano del diritto.
Altro elemento che, secondo molti addetti ai lavori, va modificato riguarda il ricorso abbastanza diffuso alla clausola di salvaguardia (prevista dalla norma vigente) come filtro preliminare per escludere molti ricorsi dei cittadini. E’ vero che l’Italia è un paese di ricorrenti a prescindere, ma questo non può bastare per limitare a monte un diritto. Va aggiunto che si tratta di un passaggio importante sul quale il legislatore dovrà riflettere qualora si arrivasse ad una nuova legge perché si dovrà trovare un criterio rigoroso che da un lato tuteli il diritto del cittadino; dall’altro eviti di intasare i tribunali civili con milioni di faldoni da esaminare.
Quanto all’accusa di incostituzionalità che certi giornali già sollevano sull’emendamento leghista, a detta di molti esperti, occorre capire se la responsabilità diretta del magistrato senza filtro preliminare dello Stato possa ravvisare elementi in contrasto con la Costituzione. Tuttavia appare difficile sostenerlo sic e simpliciter perché se si prende l’articolo 28 della nostra Carta, tali contraddizioni non sembrano ravvisabili. L’articolo in questione, infatti, dice che tutti i funzionari pubblici compresi i magistrati, rispondono direttamente per gli atti compiuti in violazione dei diritti secondo le leggi vigenti. La responsabilità viene estesa allo Stato ma secondo i dettami dell’articolo 28, per questo si può affermare che il principio della responsabilità diretta è già contenuta in Costituzione.
Tornando alla politica, adesso la battaglia si sposta al Senato ed è facile ritenere che ci saranno molte pressioni (politiche) sul Pdl che oltretutto insieme alla Lega a Palazzo Madama dispone di una maggioranza più forte numericamente. Ma anche qui occorrerebbe agire col metro del buon senso partendo da un presupposto: il tema della responsabilità diretta dei magistrati è molto sentito dalla gente e la politica pare averne preso atto, soprattutto adesso che a sinistra è caduta la pregiudiziale berlusconiana.
E se questo è il momento giusto per aprire il dossier, sarebbe utile farlo al netto di ogni tentazione demagogica, magari lavorando a modifiche che possano migliorare l’emendamento ma in nome di un intervento serio e risolutivo come quello di una legge ex novo da fare in tempi rapidi che recepisca le direttive europee e sani le storture italiane. Insomma, una nuova battaglia di civiltà. Stavolta bipartisan.