
“Sugli immigrati l’Ue è immobile e i consensi degli estremisti crescono”

13 Maggio 2011
L’accordo di Schengen è una conquista che va tutelata: parola di Cecilia Malmstrom, commissaria Ue agli Affari interni. A poche ora dalla decisione della Danimarca, presa sotto pressione del Partito Popolare Danese (Df), di reintrodurre i controlli alle frontiere, i ministri degli Interni dei paesi europei, riuniti a Bruxelles per discutere sull’emergenza immigrazione, contestano in modo unanime le “decisioni unilaterali” che “rischiano di far scattare reazioni a catena”. Mentre la diplomazia muove i suoi passi con grande cautela, però, la crisi in cui riversa il Mediterraneo sulla scia delle rivolte nordafricane sembra fare grandi balzi in avanti. Oltretutto, l’indecisione dimostrata dalle istituzioni europee su questo fronte, lascia libero il campo ai partiti che stanno costruendo una fortuna politica facendo leva sul tema della sicurezza e sull’ostilità nei confronti dell’immigrazione. Di questo, e della solitudine dell’Italia nel rispondere all’emergenza, abbiamo parlato con il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano.
Sottosegretario Mantovano, la Danimarca vuole sospendere il Trattato di Schengen. E’ l’inizio di una reazione a catena?
Bisogna capire di cosa si tratta perché le dichiarazioni del governo danese non sono chiarissime. Perché vi sia una sospensione della libera circolazione è necessaria una grave ragione concreta, poi si avvia una procedura di convalida da parte dalle istituzioni europee preposte a queste decisioni e, semmai, a una ratifica. Un Paese membro non può decidere di sospendere il trattato all’improvviso. Tuttavia, dal punto di vista politico, questa è la dimostrazione che sul fronte della sicurezza l’Unione sta vivendo un disagio che interessa di volta in volta singoli paesi anche lontani dall’area del Mediterraneo.
La Danimarca è uno di quei paesi in cui i partiti delle “piccole patrie” (il Df in Danimarca, il Pvv in Olanda e la Lega in Italia) stanno costruendo una fortuna politica grazie al legame fra il concetto di criminalità a quello dell’immigrazione. Come dovrebbero rispondere i partiti di area liberal-conservatrice a questa tendenza?
La crescita di questi partiti sempre più spostati a destra, sempre ammettendo che questi orientamenti possano definirsi “di destra”, non rappresenta il problema politico principale. Semmai è il sintomo di un disagio dimostrato dall’Unione europea nell’affrontare l’immigrazione. Se l’Europa continuerà ad affrontare questo tema in modo burocratico scaricando le responsabilità solo sui Paesi membri, l’ovvia conseguenza è che qualcuno ritenga di poter meglio salvaguardare la propria sicurezza rafforzando i confini del singolo Stato piuttosto che avviando un meccanismo virtuoso in sede europea. I consensi crescenti di quei partiti che hanno pulsioni xenofobe, o anche soltanto ostili all’immigrazione, sono direttamente proporzionali alla debolezza e all’indecisione con le quali l’Unione affronta queste tematiche. Non è un caso che questi gruppi politici abbiano un atteggiamento anti-europeista.
Cosa dovrebbe fare l’Europa per far fronte all’emergenza immigrati?
Intanto rendersi conto di essere un continente che può recitare una parte nell’accoglienza di chi vuole migliorare le proprie condizioni di vita. Ci sono paesi europei, come quelli scandinavi, che hanno una notevole offerta di lavoro. Dunque, il primo passo dovrebbe essere una seria politica sull’immigrazione che passi dall’individuazione di flussi d’ingresso regolari sul piano europeo: come in Italia il flusso passa attraverso la consultazione delle Regioni e degli enti territoriali lo stesso dovrebbe accadere in altre aree all’interno dell’Unione; in secondo luogo deve assumersi i costi della prevenzione e del contrasto alla clandestinità, senza scaricarli completamente sui paesi più esposti; terzo: il carico dell’accoglienza dei rifugiati, a fronte della crisi libica, deve essere ripartito tra tutte le nazioni europee, così come l’Italia sta ripartendo l’accoglienza fra tutte le regioni. In assenza di questi tre aspetti si ripeteranno annunci come quello fatto dalla Danimarca e le forze politiche più estreme avranno nuovi incrementi elettorali.
Secondo il ministro dell’Interno tedesco Friedrich l’Italia non ha alcun motivo di lamentarsi per la mancanza di solidarietà. Come commenta quest’affermazione?
Commento con i dati. Negli ultimi cinque anni l’Italia, nella risposta in tempi celeri alle domande di riconoscimento dello status di rifugiati o della protezione umanitaria, non ha rivali: solo noi abbiamo 15 commissioni che lavorano ininterrottamente sulle domande presentate dai profughi. E sfido gli altri paesi a dimostrare la stessa percentuale di accoglimento italiana delle domande. Se sommiamo i riconoscimenti dello status di rifugiati a quello della protezione umanitaria siamo a una media del 40% di responsi positivi. Invito la Germania a dimostrare di poter offrire risposte migliori di questa.
Dunque sono risultati che l’Italia ha raggiunto senza l’aiuto dell’Europa?
Concordo con quanto ha già detto il ministro Maroni: l’Europa non ha fatto niente. Frontex ha solo mandato a Lampedusa tre osservatori che, tra l’altro, nemmeno parlavano italiano. Parliamo di un’agenzia che dovrebbe coordinare le forze dei singoli paesi: non lo ha fatto. Quando passa un barcone proveniente dalla Libia, nella maggior parte dei casi, provvediamo noi al soccorso, anche se si trova in acque maltesi.
Passiamo ai numeri. Dall’inizio della crisi quanti immigrati sono arrivati in Italia e come li stiamo gestendo?
Dal 1 gennaio i migranti sbarcati, dato aggiornato alle 8 di stamattina (di ieri, ndr), sono stati 36.880. Di questi, 32.015 sono sbarcati a Lampedusa. Ora sull’isola sono rimaste poche decine di migranti, quindi c’è da considerare tutto il lavoro svolto per prelevarli da lì e trasferirli nelle Regioni. Circa i due terzi del totale sono di nazionalità tunisina: a una parte di questi, quelli arrivati dal 1 gennaio al 5 di aprile, è stato riconosciuto il permesso umanitario; quelli arrivati dal 5 aprile, invece, li stiamo rimpatriando con trenta voli charter. Discorso a parte va fatto per i profughi, cioè coloro che provengono dalla Libia: fino ad aprile erano arrivati in 5 mila, ma i numeri stanno crescendo fino a toccare quota 13 mila. Le ragioni di questa impennata stanno nell’abbassamento dei controlli, che prima erano garantiti dall’accordo Italia-Libia, e nella scelta deliberata di Gheddafi di spingerli verso il nostro Paese.
Come stiamo gestendo l’enorme flusso dei migranti sbarcati in Italia?
Esiste un Piano stipulato tra Ministero dell’Interno, Protezione Civile e le Regioni che prevede la ripartizione dei profughi nelle varie regioni fino a un massimo totale di 50 mila persone. Finora siamo già a quota 13 mila. E’ prevedibile che se il trend rimane costante e se in Libia non ci sarà un interlocutore affidabile, cosa al momento poco probabile, la quota massima sarà raggiunta entro quest’estate per poi essere superata.
Cosa stiamo facendo per far fronte alla situazione?
Nel momento in cui arriva un barcone diamo cure, cibo e una sistemazione ai migranti. E’ chiaro che queste persone non si possono lasciare sul molo di Lampedusa in attesa che la diplomazia faccia il suo corso. Nel frattempo continuiamo a chiedere all’Europa una ripartizione degli oneri attraverso un’intesa stipulata con Francia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro. L’accordo prevede degli incontri con cadenza mensile per approvare dei documenti che consentano di parlare con un’unica voce con le istituzioni europee. Questo prova che non si sta lamentando solo l’Italia, ma tutta l’area dell’Europa che si affaccia sul Mediterraneo.