Sugli stadi di calcio si gioca soprattutto una partita economica e politica
01 Ottobre 2009
In Commissione cultura, al Senato, prosegue l’esame dei tre ddl accorpati nell’unico dossier nuovi stadi («misure per favorire la ristrutturazione o la costruzione d’impianti sportivi»). E il sottosegretario delegato Rocco Crimi assiste ai lavori manifestando grande fiducia: «Siamo a buon punto». Tanto che «anche il discorso con gli enti locali è ben avviato. Insomma, è realistico prevedere che questo provvedimento, bipartisan, possa essere licenziato senza passare per la discussione in parlamento». Onde evitare ulteriori lungaggini. La partita in gioco può valere molto, difatti. Può determinare risultati sia sul terreno economico, sia su quello politico.
Il presidente della nuova Lega di Serie A Maurizio Beretta e il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete, entrambi aspettano e sperano. «Il ddl sugli stadi è una priorità» ripetono da tempo, con voce sola. L’uno in rappresentanza degli interessi delle società, l’altro interessato a considerare ed eventualmente concordare – nel breve periodo – l’opportunità di una candidatura italiana ufficiale, all’organizzazione degli Europei del 2016. Nel caso, la candidatura dovrà essere presentata all’Uefa (presidente Michel Platini) entro il 15/2/2010. «Beninteso: predisponendo un dossier, sulla carta, accreditato dalle garanzie reali offerte da governo e amministrazioni periferiche» puntualizza Abete. Due anni e mezzo fa la candidatura dell’Italia all’allestimento della prossima rassegna continentale del 2012 è stata infine sonoramente bocciata, le è stata preferita quella promossa da Polonia e Ucraina. Pure a dispetto delle tante riserve che questa seconda aveva suscitato. Dunque, prudenza. E calcolo. Perché, quanto varrebbe poi, la partita nuovi stadi?
Varrebbe, in soldoni, circa sei miliardi di euro in una prospettiva decennale. Perlomeno secondo quanto riportano le stime più ottimistiche (studio StageUp – Sport & Leisure Business, novembre 2008). «Saranno quattro i miliardi spesi per le sole strutture. E gli investimenti in impianti multifunzionali di nuova concezione genereranno ottantacinquemila posti di lavoro». Considerato l’assunto che «gli stadi italiani sono attualmente i più vecchi e meno utilizzati d’Europa». Nel mentre l’unica realizzazione all’orizzonte si profila a Torino, dov’è in costruzione l’impianto di proprietà della Juventus. Altrove, invece, si susseguono roboanti presentazioni di progetti eseguibili chissà quando, chissà come. Da Milano a Roma, passando per Genova e Firenze. Le sedi dei club più ambiziosi, nessuno ancora con un impianto privato. Ma il ddl? Quale sarebbe la sua ricetta di fondo? In estrema sintesi: vengono garantite procedure agevolate di accesso al finanziamento governativo e dell’Istituto per il Credito sportivo, a quelle piattaforme d’intesa tra comuni e società di calcio per l’edificazione di un complesso (arena, centro commerciale, altri esercizi e servizi) che rende, che ha un valore commerciale, appunto. Oltre che d’aggregazione sociale. «Lo stadio dovrà vivere sette giorni su sette» auspica Crimi. Perché non muoiano sepolti dalle polemiche e da costi schiaccianti, nel futuro, altri Delle Alpi fantasmi del passato.