Sui contratti Sacconi tira dritto mentre il Pd resta a metà del guado
26 Agosto 2009
Non sarà un accenno di autunno caldo, visto che agosto ancora consuma gli ultimi fuochi. Ma di certo il dibattito che il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, e i rappresentanti sindacali hanno avviato negli ultimi due giorni al Meeting di Rimini sicuramente segnerà le prossime settimane e porrà le parti sociali e l’esecutivo di fronte a una sfida pesante: quella della effettiva applicazione del nuovo modello contrattuale. I primi grandi test si avvicinano a passo di carica.
Alle viste ci sono infatti le trattative per alcuni importanti contratti collettivi ed è chiaro che dall’impostazione che verrà data alla trattativa per il rinnovo degli alimentaristi e degli operatori del settore della comunicazione si capirà se la riforma assumerà una forma credibile o rimarrà inscritta nel libro dei sogni, delle buone intenzioni o delle occasioni perdute.
Sul tema dei salari differenziati ”non ho fatto una nuova Proposta – spiega da Rimini il ministro Sacconi – : ho semplicemente richiamato le parti sociali, soprattutto quelle che hanno sottoscritto il nuovo modello contrattuale, a realizzare i contratti nazionali coerenti col nuovo modello. I contratti nazionali devono essere definiti in modo tale da dare spazio alla contrattazione aziendale o, nel caso dell’artigianato, dell’agricoltura e dell’edilizia, a quella territoriale”.
”Le parti – prosegue – hanno reagito positivamente quindi devo presumere che i primi contratti per i quali già si è aperto il negoziato, saranno realizzati coerentemente con l’accordo nazionale. Questo ragionevolmente lo vedremo entro dicembre”. Parole equilibrate e prudenti vengono dispensate anche quando Sacconi viene chiamato a commentare la richiesta di Raffaele Bonanni della Cisl di arrivare a una tassazione zero sulla retribuzione di secondo livello. “Azzerare le tasse sulla contrattazione di secondo livello? I sogni sono sempre leciti però poi ci si misura con la concretezza della finanza pubblica. Credo piuttosto che sia importante confermare la detassazione del 10%” già prevista”.
La posizione di Sacconi è dunque chiara: no alle gabbie salariali, sì ai salari decentrati, differenziati in base ai meriti così come propone la riforma del modello contrattuale. Una sfida su cui Cisl e Uil sono decise a confrontarsi, dando seguito ai patti già sottoscritti, mentre la Cgil continua la sua guerra di posizione e si arrocca nella consueta posizione difensiva. D’accordo anche Confindustria, che si spinge anche più in là chiedendo all’esecutivo di migliorare le misure di sgravio contributivo. ”Le parti sociali, e in questo caso tutte le parti sociali, sono assolutamente d’accordo a che il salario di produttività realizzato a livello aziendale sia incentivato”, afferma il direttore generale, Giampaolo Galli, che concorda sull’importanza della tassazione al 10% fisso dei premi di produttività introdotta dal Governo Berlusconi e prorogata per il 2009, e sulla necessità di innalzare ”anche il limite di reddito che ne consente la fruizione”. ”Altrettanto essenziali”, continua Galli, sono le misure di sgravio contributivo, riviste nel 2007 ”ma da migliorare ulteriormente”.
In questo mosaico i cui tasselli bianchi o neri appaiono tutti ben definiti resta sospeso in una zona grigia il giudizio del Pd. Il partito di Via del Nazareno con alcuni suoi esponenti alza subito robuste barricate dialettiche. “Le posizioni del ministro Sacconi sulla contrattazione decentrata suonano come un ricatto, come se spettasse al governo disciplinare la libera contrattazione tra le parti sociali. Per fortuna non è così e minacciare di togliere gli incentivi appare dunque grottesco” tuona il responsabile Lavoro dei democratici Cesare Damiano.
Nella realtà la divisione, anzi la contrapposizione che su questa materia si è generata tra i sindacati, con Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra imbarazza il Pd e rischia di diventare uno dei temi a deflagrazione lenta da tenere sotto controllo in vista del congresso.
Tanto Piero Fassino quanto Enrico Letta si erano espressi nelle scorse settimane a favore della riforma contrattuale, ricordando il riferimento di fondo rappresentato dal programma presentato agli elettori che prevedeva questa riforma. La teoria però ora si trasforma in pratica. E la stipula dei primi contratti collettivi secondo un modello abiurato dalla Cgil in pieno congresso del Pd appare come una miccia destinata a sollevare fuochi, polemiche e consuete contrapposizioni.