“Sui  tetti salgono studenti, prof e politici che non vogliono cambiare”

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

“Sui tetti salgono studenti, prof e politici che non vogliono cambiare”

02 Dicembre 2010

Dai finiani nessun contributo determinante, perché principi e concetti di fondo erano già condivisi dalla maggioranza. Una sottolineatura alla quale Paola Frassinetti, parlamentare Pdl e relatrice del ddl Gelmini alla Camera, non si sottrae nella ridda di polemiche che hanno alzato il livello della temperatura fuori e dentro il Parlamento. Nel merito, rivendica la spinta modernizzatrice della riforma anche se non nega che gli effetti andranno testati una volta che il sistema nel suo complesso sarà operativo, con l’auspicio che Tremonti tenga ancora aperti i cordoni della borsa. Sulle proteste di piazza rileva il paradosso di una saldatura tra studenti e prof. “finalizzata solo a conservare lo status quo”.

Onorevole Frassinetti, qual è la forza della riforma?

E’ il principio di fondo racchiuso nelle parole-chiare autonomia, responsabilità,  meritocrazia. Particolare evidenza viene data al concetto di valutazione che finalmente entrerà nelle nostre università e alla possibilità di premiare gli Atenei virtuosi che hanno i conti a posto e la previsione del dissesto finanziario per quelli che hanno i bilanci in rosso. In linea generale, si introduce un sistema che individua criteri di meritocrazia validi anche per la progressione della carriera dei docenti non più legata solo al fattore di anzianità.

E la sua debolezza?

E’ una riforma che ha una regolamentazione molto forte e, in alcuni casi anche centralizzata. E’ auspicabile che questo aspetto si allenti quando il sistema di valutazione diventerà operativo. L’auspicio è che con la crescita della valutazione vi sia un aumento dell’autonomia. Questa è la scommessa.

Bersani sale sul tetto, ma ci è salito pure Granata, suo ex collega di partito ai tempi di An ora fedelissimo del presidente Fini. Come valuta la mossa dei futuristi in questi giorni di polemiche durissime fuori e dentro il Parlamento?

I finiani hanno votato la riforma Gelmini al Senato e il relatore del testo era il finiano Valditara; questo è bene ricordarlo sempre. Le contestazioni che hanno portato avanti alla Camera francamente sul piano del merito non sono state così rilevanti e sinceramente non le ho neppure ben comprese.

Eppure su alcuni emendamenti Fli è stata determinante e il governo è andato sotto per tre volte.

Anche qui è bene fare chiarezza: l’emendamento che ho presentato in commissione Cultura conteneva già quanto poi specificato dai finiani negli emendamenti proposti in Aula. In commissione Bilancio la nostra iniziativa era stata bloccata perché Tremonti aveva detto che le risorse erano state inserite nel patto di stabilità, ma il principio, la sostanza non cambiava. Segno evidente che la stessa sensibilità rivendicata dai finiani era già stata manifestata dal Pdl, soprattutto sul capitolo ricercatori e associati. Va dato atto a Fli di aver sottolineato questa sensibilità direttamente in Aula ma anche qui la sostanza resta identica, sia sul piano dei contenuti che dal punto di vista politico.

Allora perché i futuristi dicono che senza i loro emendamenti la riforma non avrebbe avuto quel quid in più?

Quello di Fli è stato un contributo sulla difesa di un principio peraltro già condiviso da Pdl e Lega. Aggiungo che il governo è andato sotto non su questioni di merito rilevanti, ma sulla modifica tecnica di una terminologia usata dalla commissione Bilancio.

Facoltà occupate, cortei, studenti ma anche professori in rivolta, scontri con le forze dell’ordine.  Solo strumentalizzazioni o c’è un fondo di verità nella protesta?

Ritegno che gli studenti scesi in piazza, in alcuni casi anche in modo violento e scontrandosi con le forze dell’ordine, non conoscano i contenuti della riforma. Trovo infatti paradossale manifestare contro il fatto che i rettori restano in carica per sei anni (diversamente da quanto accade oggi)  o per il fatto che c’è una chiara distinzione di ruoli tra Senato accademico e Cda. finalizzata ad innalzare i livelli qualitativi e a riorganizzare in modo pragmatico la gestione degli atenei. In tutta questa vicenda c’è stata molta strumentalizzazione e disinformazione da parte di chi, in realtà, vuole il mantenimento dello status quo. In altre parole, gli studenti che manifestano pensano di essere rivoluzionari ma in realtà assomigliano a dei ‘contestatori conservatori’.  Riscontro una differenza sostanziale rispetto ai loro fratelli maggiori del ’68 senza tuttavia entrare nel merito di quel fenomeno. Allora, protestavano contro i baroni, i professori, c’era una lotta generazionale, mentre oggi studenti e professori contestano insieme per mantenere tutto com’è: un bel paradosso.  

Una delle critiche alla riforma riguarda l’accentuazione della precarizzazione dell’università. Cosa risponde?

E’ proprio l’opposto. Il ddl prevede la possibilità per il ricercatore, al termine del dottorato, di avere un contratto a tempo determinato con la cosiddetta ‘tenure-track’ cioè la progressione di carriera da ricercatore a professore ordinario e su crtiteri meritocratici. Inoltre c’è l’opportunità di usufruire di assegni di ricerca che sostituiscono le vecchie borse di studio post-dottorali e ne migliorano la sostanza per chi vi accede. Semmai la precarizzazione è frutto di politiche sbagliate messe in atto soprattutto negli anni ’70-’80 che fissavano il passaggio automatico da ricercatore ad associato. Politiche che hanno creato sacche di precariato, come dimostrano ricercatori che oggi hanno sessant’anni,  che non possono essere imputate al ministro Gelmini alla guida il dicastero da due anni.

Altro tasto critico riguarda l’idea che a rimetterci non saranno i baroni, la casta che mantiene pressoché inalterati i suoi privilegi ma i ricercatori. E’ così?

Intanto l’unico a stabilire regole contro le baronie e i privilegi della cosiddetta ‘casta’ è stato questo governo e lo ha fatto in modo concreto, ad esempio con la norma su ‘parentopoli’ e fissando un limite a sei anni alla carriera di rettore, per non parlare dell’introduzione del sorteggio nelle commissioni. Questi sono fatti, le parole e la conservazione dell’attuale, finora hanno portato le nostre università ad occupare le retrovie delle classifiche Ocse. Pur avendo delle eccellenze, ormai il sistema universitario nel suo complesso era arrivato quasi al collasso, per gli sprechi, il proliferare di università ovunque, per sedi distaccate con un numero basso di studenti e spese elevate di gestione. Non è tanto una questione di risorse, piuttosto è come queste risorse fino ad oggi sono state gestite e impiegate. E il raffronto  più diretto è con gli atenei europei, molti dei quali spendono in proporzione meno dell’Italia ma hanno sistemi organizzativi migliori che danno standard qualitativi più alti.

Quali sono le principali novità sulla governance dell’università?

C’ una suddivisione chiara dei ruoli: da un lato il Senato accademico che si occupa di didattica, ricerca e programmazione triennale, dall’altro il Cda con compiti di gestione con l’ingresso di tre membri esterni che in base ai loro profili professionali hanno un contatto maggiore e diretto con il contesto produttivo e da questo punto di vista possono fare da ‘cerniera’ tra università e mondo del lavoro.

Sì, ma questo nuovo impianto può portare a una progressiva privatizzazione?

Non credo che la presenza di tre membri esterni possa bastare a privatizzare l’università. Mi sembra una critica strumentale e fuorviante.

Ci sono ricercatori che manifestano ma dall’estero molti dei loro colleghi italiani considerano la riforma Gelmini un passo in avanti verso una vera innovazione. Secondo lei la tendenza è allo schema anglo-sassone?

Credo che l’università italiana debba mantenere la sua forte identità, la sua tradizione gloriosa e al tempo stesso riuscire ad entrare in maniera più incisiva nel circuito competitivo internazionale. Tutto ciò senza mutuare modelli altrui ma superando certi provincialismi e schemi obsoleti. Le modifiche introdotte dalla riforma vanno in questa direzione, cioè verso un incremento della competitività. Ne sono un esempio il fatto di conoscere bene una lingua straniera al punto da sostenere esami o anche la mobilità di docenti stranieri verso i nostri atenei. Sono innovazioni che sostengono l’università per renderla più competitiva non solo a livello europeo ma anche internazionale.

Onorevole Frassinetti, dica la verità:  alla fine chi vincerà il braccio di ferro sulle coperture finanziarie tra la Gelmini e Tremonti?

Ci sono risorse stanziate nella legge di stabilità e da parte di Tremonti c’è stata una disponibilità importante. L’auspicio per il futuro è di incrementare ulteriormente le risorse a favore dell’università perché sappiamo che in tempi di crisi, rimettere in moto lo sviluppo passa anche dal rafforzamento del nostro sistema educativo.