Sul “caso Boffo” l’Occidentale aveva visto giusto sin dall’inizio
02 Febbraio 2010
Ecco quello che scrivevo il 10 settembre 2009 con il titolo: "Caso Boffo: radiografia della frattura tra governo e Cei". Nel pezzo di allora non c’è solo l’individuazione di colui che oggi è considerato la "fonte" che fornì a Feltri le carte avvelenate, cioè il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian, ma si faceva emergere un circuito di convenienze e di complicità che si concentravano nel giro del Corriere della Sera. All’origine di quel pezzo comunque non vi era una pruderie investigativa ma la convinzione, chiara fin dall’inizio del caso, che il l’attacco a Boffo era viziato non tanto dal punto di vista etico-morale (forse anche da quello) ma sopratutto nell’impianto giornalistico delle cosiddette prove. E dalla elusività con cui Feltri maneggiava cartacce vendendole ai suoi lettori come oro colato. Noi l’avevamo detto subito, oggi lo dice anche Feltri.
Le dimissioni di Dino Boffo non hanno fermato i molti tentativi di risalire alla genesi e alle motivazioni profonde dell’attacco scagliato sulla prima pagina del Giornale lo scorso 28 agosto. Poco a poco, i pezzi di un complesso mosaico, in parte politico e in parte ecclesiale, stanno andando al loro posto. Il quadro non è ancora chiaro, ma quello che già si intravede è lo svilupparsi di un’operazione lucida e mirata, tesa ad approfondire e se possibile a rendere permanente la frattura tra il mondo cattolico (in particolare la Cei) e il governo Berlusconi apertasi con il sexgate di quest’estate.
Dalle parti del Pdl, nei pubblici discorsi, nelle interviste, persino in consessi riservati, l’ordine di scuderia è “minimizzare”, ritenere l’incidente superato e aderire alla versione diplomatica dell’Osservatore Romano secondo cui prevale un clima di “serenità istituzionale”.
In privato però non si esita a definire la situazione “gravissima”. La preoccupazione dei più attenti interpreti delle mosse vaticane è che all’interno della Cei sia in atto una sorta di “tana libera tutti” che abbia fatto saltare gli equilibri faticosamente tessuti durante gli anni di Camillo Ruini.
Il “caso Boffo”, per semplificare le diverse analisi che si registrano, ha ridato voce ai moltissimi vescovi che vedono in Berlusconi un avversario e che ora hanno buon gioco per dimostrare la sua “inaffidabilità”; mentre la parte ancora legata all’influenza ruiniana e quindi più dialogante verso il governo, oggi si sente offesa e preferisce restare in silenzio. Segnali di questo cambio di marcia arrivano da Torino dove sul giornale della diocesi, La Voce del Popolo, è apparso un articolo a dir poco feroce: “Il Paese piu’ avanzato sulla strada della corruzione politica in Europa è il nostro, dove l’attacco alla libertà di informazione – prima in Italia, poi all’estero e adesso direttamente con l’Ue – costituisce un segnale inequivocabile di degrado politico". "Molto di quello che sta avvenendo in questi giorni in Italia – si legge ancora nell’articolo – è fuori da ogni decenza e già ampiamente estraneo al rispetto della democrazia sostanziale oltre che di quella formale proiettando ombre inquietanti sul futuro della convivenza civile e la coesione del nostro Paese”. Neppure D’Avanzo nei suoi giorni più ispirati.
Nello stesso senso è stato letto il più prudente monito dell’Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, quando ha detto che radici cristiane sono importanti ma quello che conta è l’agire, cioè “i fiori e i frutti”, perché è da questi che “il Signore ci giudica”. Così come è stata data un’interpretazione preoccupata alle parole del’Arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe, che in un’intervista ha detto: “L’impegno dei cattolici in politica non ha mai conosciuto stagioni facili o scontate, ma oggi nella Chiesa si avverte l’esigenza di restare alla larga da forme di compromesso che possano, in qualche modo, indebolire o rendere meno efficace la propria azione pastorale”.
Di smottamenti simili se ne attendono altri, specie con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative che rendono questi inviti a “restare alla larga” particolarmente allarmanti se dovessero attecchire proprio in regioni come il Piemonte o la Campania. Insomma come ha notato anche Vittorio Messori sul Corriere: “Una Cei che aveva un parterre moderato, non ostile all’attuale governo, parla ora di «un oscuro blocco di potere laicista» che, dall’interno della maggioranza, aggredisce la Chiesa”.
La situazione è dunque giudicata gravissima e sembra che anche Berlusconi, che certo non ha avuto nulla da guadagnare dalla cancellazione del pranzo della Perdonanza e che in un primo momento aveva derubricato la vicenda come un eccesso di autonomia di un direttore che sicuramente non controlla, ora è invece molto preoccupato.
Se lo scenario e i suoi rischi sono chiari è invece meno evidente l’intreccio di interessi che da dietro le quinte ha messo in moto l’operazione. Perché è parere condiviso che la mano di Feltri sia stata armata da qualcun altro, qualcuno consapevole del fatto che il direttore del Giornale avrebbe premuto il grilletto senza troppe esitazioni. D’altronde è lo stesso Boffo a notarlo nella sua lettera a Bagnasco: “Feltri non s’illuda, c’è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli con attenzione i giornali di questi giorni, non si limitavano a menare fendenti micidiali, l’operazione è presto diventata qualcosa di più articolato”.
A quale articolata operazione allude il direttore dell’Avvenire? Per non andare troppo a ritroso nella ricerca delle tracce al cui termine c’è la sua uscita di scena, molti individuano il segnale d’avvio in un’intervista a Francesco Cossiga sul Giornale del 24 agosto, quattro giorni prima del colpo grosso di Feltri. Il titolo è esplicito: “Dietro gli attacchi a Berlusconi i vescovi che guardano a sinistra”. Nell’intervista però si parla poco dei vescovi e molto del direttore dell’Avvenire, di cui Cossiga dice: “Nessuna giustificazione o spiegazione riesco a dare agli scritti del non-reverendo Boffo che, posto inopportunamente alla direzione dell’organo ufficiale della Cei, dovrebbe astenersi da questi continui attacchi, dovuti in parte alle sue note preferenze politiche ammantate da scelte religiose”. Cossiga arriva a dire che Boffo non solo sarebbe in dissenso con il centro-destra, ma “potenzialmente con la parte della Chiesa che fa capo al Papa”.
Se Cossiga decide di far passare Dino Boffo per un “cattocomunista” anti-ratzingeriano – sostengono molti preoccupati osservatori – vuol dire che qualcosa di strano sta succedendo. Primo perché di certo al presidente emerito, della reputazione in pericolo di Silvio Berlusconi importa poco o nulla, secondo perché se c’è qualcuno che conosce le vicende più riposte dei cattolici di sinistra quello è proprio Cossiga. Il quale non può non sapere che tutta la carriera del direttore dell’Avvenire si è svolta proprio nel segno della sfida e del contrasto con il versante conciliare e “progressista” della Chiesa. A cominciare dalla acerba rivalità con Rosy Bindi ai tempi della comune militanza nell’Azione Cattolica fin dagli anni ’70, culminata nella decisione di candidarsi alla presidenza di Ac contro Alberto Monticone sostenuto proprio dalla Bindi e Vittorio Bachelet. Per finire con l’arrivo di Boffo nell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori nel 2004, su indicazione di Ruini, dove il direttore dell’Avvenire determinò la messa in minoranza della corrente democristiana dell’allora presidente Emilio Colombo e di Oscar Luigi Scalfaro, in favore dell’ala ruiniana e della Cei.
Oggi sono in molti ad essere convinti che proprio il peso di Boffo nell’istituto che nomina anche il rettore dell’Università Cattolica lo abbia trasformato in un bersaglio di ritorsioni e lettere anonime. Le stesse che i Vescovi hanno più volte cestinato e che Feltri ha preso e presentato per documenti del tribunale di Terni. E’ evidente però che la contrapposizione è all’opposto di come la descrive Cossiga: gli avversari di Boffo sono sempre stati i cattolici di sinistra, la sinistra Dc di cui lo stesso Cossiga ha fatto parte, gli anti-ruiniani, che consideravano il direttore dell’Avvenire poco meno di un berlusconiano.
Per far partire l’attacco da destra però ci voleva un innesco adeguato e un terreno reattivo e così ecco l’intervista di Cossiga sullo stesso Giornale da cui Feltri, quattro giorni dopo, lancia la sua campagna contri i moralisti immorali.
L’intervista di Cossiga è però solo un segnale, a cui altri se ne aggiungono nei giorni successivi, messi insieme e analizzati come vaticini di sventura da molti cattolici nel Pdl. Ha fatto sobbalzare più d’uno, ad esempio, l’intervista di Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, sul Corriere, dove, mescolate a parole di blanda solidarietà con Boffo, c’era la rivendicazione al quotidiano della Santa Sede di unico garante dei buoni rapporti tra governo e Vaticano mentre si accusava l’Avvenire di aver perso di vista un buon numero di virtù cardinali, prima tra tutte la prudenza. C’è chi è convinto che Boffo pensasse proprio a Vian, quando nella sua lettera di dimissioni, dopo aver ricordato la solidarietà espressagli da tutti i suoi “Superiori” parla dell’eccezione di “qualche vanesio irresponsabile che ha parlato a vanvera”.
Ma è nei giorni ancora successivi che il disegno politico prende forma più consistente. Sono molti i giornali che cominciano a notare la malcelata soddisfazione di molti esponenti centristi che, innalzando Boffo a nuovo martire del berlusconismo in armi, esibiscono la loro immediata disponibilità a consolare e magari vendicare una Chiesa umiliata e offesa. Basta leggere, tra tutti, Pierferdinando Casini su Famiglia Cristiana: “La lettera di dimissioni del direttore di Avvenire, Dino Boffo, e’ uno straordinario documento umano e politico. Un grido di denuncia che rischia di segnare un’epoca. Dalle pagine del vostro giornale voglio manifestare a Boffo tutto il mio affetto e la mia solidarietà”.
Sullo sfondo l’ormai prossimo appuntamento di Chianciano, chiamato solennemente “Gli Stati Generali del Centro”, che porterà nella città termale molti teorici e pratici della fine del bipolarismo nonché del berlusconismo. Ne ha parlato ieri uno dei più entusiasti, Savino Pezzotta: “Umiliare la Chiesa è molto pericoloso – ha detto l’ex leader della Cisl – credo che ora questa possa guardare con interesse ad una formazione che culturalmente si rifà alla tradizione del mondo cattolico”. Una formazione che Pezzotta non immagina certo come una Udc allargata, ma un “progetto politico aperto” anche personaggi come Rutelli e Montezemolo.
Sarebbero infatti proprio questi i protagonisti di quello che Repubblica ha definito in un retroscena dei giorni scorsi il “Piano Esterno”. Ecco come lo definiva Massimo Giannini già il 4 settembre: “A questo "Piano Esterno" si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali, editorialisti, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell’Osservatore Vian”. Forse la Segreteria di Stato è stata un po’ troppo frettolosamente identificata con la posizione del direttore dell’Osservatore Romano, ma i fatti dei giorni successivi hanno confermato a molti il sospetto che quel “piano esterno” esista davvero e lavori alacremente a ri-schierare la Cei contro il governo e gli elettori cattolici contro Berlusconi.
Qualcuno infine segnala un altro piccolo dettaglio, sfuggito ai più. Era nascosto in un post scriptum alla fine dell’ Andrea’s Version sul Foglio del 4 settembre, il giorno delle dimissioni di Boffo con cui Ferrara aveva ampiamente e sinceramente solidarizzato. Nel P.S. si leggeva solo questo: “Chi meglio del presidente della Rizzoli Libri, per la direzione dell’Avvenire?”. Niente altro, neppure il nome e cognome. Qualcuno lo ha definito un “pizzino”, un modo per dire “noi sappiamo chi c’è dietro”.