Sul caso Enrica Lexie pesano politica e forse un po’ di anti-italianità
20 Febbraio 2012
Le tensioni italo-indiane, in quello che è sempre più un caso internazionale dei due marò presi in custodia cautelare dalle autorità indiane dello Stato del Kerala per aver – questa la versione indiana- presuntamente ucciso due pescatori indiani, non accennano a diminuire. Anzi, la faccenda si è trasformata ormai in un vero e proprio scontro diplomatico tra Italia e India.
Tutto inizia lo scorso Mercoledì 15 Febbraio, quando due dei sei marò del Battaglione “San Marco” Massimo Latorre e Salvatore Girone, in servizio antipirateria a bordo della Enrica Lexie, una petroliera battente bandiera italiana, hanno aperto il fuoco su quello che secondo la ricostruzione dei due militari italiani assomigliava in tutto a uno ‘skiffie’, l’imbarcazione generalmente utilizzata dai pirati nell’Oceano Indiano per assaltare le imbarcazioni commerciali.
Nella ricostruzione delle autorità indiane gli spari partiti dalla Enrica Lexie avrebbero ucciso due pescatori, uno originario del Kerala e l’altro del Tamil Nadu, a bordo di un peschereccio, il St. Anthony. Secondo la ricostruzione italiana, invece, 20 colpi sarebbe stati sparati (gli indiani parlano di 60) contro un imbarcazione con a bordo cinque uomini armati: pirati. A sostegno di questa versione, foto effettuate dai militari italaini – a quanto riporta il Corriere “sfocate” -, oltre che l’orario dello scontro.
Secondo i marò la scontro ad armi da fuoco sarebbe avvenuto alle 11.00 del 15 Febbraio (ore 16:00 ora locale indiana) e un primo report sarebbe stato inviato dalla petroliera alle autorità italiane mezz’ora dopo l’accaduto. Secondo le autorità indiane la sparatoria sarebbe invece avvenuta circa due ore dopo rispetto all’orario dell’attacco riportato dai militari italiani nel proprio rapporto. Una discrepanza nella ricostruzione che potrebbe chiamare in causa un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante riportato sempre quella sera.
Le discrepanze non finiscono qui. Stando alla ricostruzione di parte italiana e sostenuta pubblicamente da vari esponenti del governo italiano negli ultimi giorni – tra cui la Guardasigilli italiano Paola Severino e il ministro degli esteri Giulio Terzi oltre che dalle autorità della Marina militare italiana – lo scontro a fuoco tra i militari sulla petroliera italiana e i presunti pirati, sarebbe avvenuta a 33 miglia marine dalle coste del Keral, e dunque non in acque territoriali indiani bensì in acque internazionali.
Se le autorità indiane dovessero convenire su tale dato, secondo le consuetudini internazionali e le convenzioni di diritto internazionale marittimo attualmente vigenti (una su tutte la Convenzione di Montego Bay del 1982), ciò non darebbe alle autorità giudiziarie indiane competenza nella gestione delle indagini. Per il momento l’India reclama la propria giurisdizione sull’accaduto, in quanto la sparatoria sarebbe avvenuta in uno spazio marittimo compreso entro le 200 miglia marittime, ovvero in piena ‘Zona Economica Esclusiva’ (ZEE) indiana.
Come noto però la ZEE dà allo Stato che ne reclama l’esclusività solo una piena gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione ed uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino. Se il dato delle 33 miglia fosse confermato, ciò escluderebbe anche il richiamo indiano alla cosiddetta ‘Zona Contigua’, ovvero entro le 24 miglia sulle quali lo Stato costiero può rivendicare non già diritti sovrani, ma solo diritti di controllo sulle navi in transito, tesi a prevenire o reprimere infrazioni alle sue leggi doganali, fiscali, sanitarie o di immigrazione.
Ricapitolando: le autorità indiane ritengono che i due marò abbiano sparato in acque territoriali indiane, su un peschereccio, il St Anthony, alle 18:00 ora locale indiana, uccidendo due pescatori innocenti con 60 colpi. Le autorità italiane, da parte loro, sostengono che i due marò abbiano invece aperto il fuoco su un’imbarcazione simile a una di quelle utilizzata generalmente dai pirati in quei mari, in ossequio alle regole d’ingaggio – spari in aria, seguiti da spari in acqua – e che tale imbarcazione avesse a bordo 5 persone armate.
Inoltre gli italiani sostengono di aver avuto lo scontro a fuoco (20 i colpi sparati secondo gli italiani e non 60 come invece sostengono le autorità indiane) alle 16:00 ore locale del 15 Febbraio, due ore prima rispetto alla ricostruzione indiana. A sostegno di ciò delle foto che i militari avrebbero scattato durante l’avvicinamento dell’imbarcazione alla Lexie. Inoltre le rilevazioni satellitari suffragherebbero la ricostruzione italiane, in quanto darebbero conferma che la Erica Lexie si trovava a 33 miglia nautiche dalle coste del Kerala, in acque internazionali.
I due marò Latorre e Girone sono stati tratti in arresto e sono sospettati di omicidio. Qualora ciò si dovesse trasformare in un’accusa formale e il procedimento finisse definitivamente nelle aule di tribunale indiane (un iter già innescato dato che i due italiani hanno già subito un interrogatorio nell’abitazione privata del giudice competente di Kollam), potrebbe esporre i due uomini del “San Marco” a una pena carceraria all’ergastolo o addirittura alla pena di morte. Secondo quanto riporta la testata indiana online di lingua inglese, Zeenews, il giudice di Kollam avrebbe predisposto un fermo per i due militari italiani fino al prossimo 5 Marzo e entro le 72 ore il giudice rivedrà i due per deciderne l’eventuale carcerazione.
Oltre ai “misteri” connessi alla dinamica e alle modalità dello scontro a fuoco, ne rimane però un altro di natura gerarchica: la Marina militare italiana, informata dell’accaduto, aveva manifestato la propria contrarietà al comando della Enrica Lexiè rispetto alle richieste indiane di entrata in porto di Kochi della petroliera e sulla scesa a terra dei militari, due “ordini” apparentemente evasi dal comando della petroliera (e dall’armatore?).
Nel frattempo il lavoro della diplomazia italiana si concentra su due fronti: a New Delhi il ministero degli esteri, in concerto con il ministero della giustizia e della difesa, ha inviato una task force per discutere con le autorità centrali indiane la controversia. In assistenza ai due militari agli arresti, un piccolo gruppo di diplomatici italiani è invece volato nel Kerala per assistere legalmente e diplomaticamente i due militari. Da parte sua il ministro degli esteri indiano, S. M. Khrisna, ha invitato “il personale della Enrica Lexie a collaborare pienamente con gli inquirenti indiani”.
Il ministro Giulio Terzi ha inoltre suggerito durante alcuni interventi pubblici negli ultimi giorni e ore che alcune tornate elettorali locali, che a breve si terranno nello stato del Kerala, potrebbero giocare un qualche ruolo nella vicenda. Un taglio interpretativo che sarebbe confermato da quella piccola manifestazione ‘anti – Italia’ che ha preso corpo davanti all’abitazione privata del magistrato che ha interrogato Latorre e Girone, alla quale secondo l’Ansa avrebbero aderito "tutti i partiti".
Inoltre, come spesso accade in India, ogni qual volta l’Italia viene chiamata in causa nelle relazioni con New Delhi, esiste sempre il rischio che i media tendano a sovraesporre gli avvenimenti a causa delle origini italiane dell’attuale presidentessa del Congress Party, la potente Sonia Gandhi, la cui “non-indianità” è spesso nel mirino politico dei nazionalisti indù e non solo.
Nella giornata di oggi il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, intervenuto sulla vicenda, ha parlato di "situazione ingarbugliata", come a voler preparare l’opinione pubblica italiana a tempi tutt’altro che brevi sulla soluzione della vicenda.