Sul caso “Enrica Lexie” qualcuno sta facendo l’indiano
22 Febbraio 2012
I lettori si stanno ponendo molti interrogativi sulla storia dei due militari del Reggimento “San Marco” consegnati alle autorità indiane dopo l’attacco alla nave “Enrica Lexie” da parte di un’imbarcazione di “pirati” al largo dell’India. Proviamo a dare qualche risposta, pur nella consapevolezza che la ricerca delle risposte scatena spesso ulteriori domande.
Cosa ci facevano il Capo di Prima Classe Massimiliano Latorre e il Maresciallo Salvatore Girone sulla nave? Facevano parte di un NMP o “nucleo militare di protezione” di sei militari imbarcato sulla petroliera in ossequio ad un protocollo d’intesa stipulato fra la Difesa e la Confitarma (Confederazione Italiana Armatori) l’11 ottobre 2011.
Cosa dice l’accordo fra la Difesa e la Confitarma? L’accordo prevede la presenza a bordo di militari delle Forze Armate italiane in funzione anti-pirateria che, all’occorrenza, agiscono in base a meticolose “regole d’ingaggio”. Su questo fatto sono state pronunciate talvolta parole fumose o fuorvianti, come nel caso di quei media che hanno affermato che “i militari agiscono isolati e non sono coordinati da un comandante”. Difficile crederlo, perché quand’anche i militari fossero solo due, il più alto in grado è comunque il comandante. E se sono dello stesso grado, il comandante sarà il più anziano. Inoltre, anche se il militare agisse da solo, avrebbe sempre un comandante cui rispondere e con il quale deve stare in contatto con gli appositi mezzi. Caso mai è vero che i militari non hanno -e ci mancherebbe altro- alcun vincolo di subordinazione gerarchica nei confronti del comandante della nave.
Ma il problema principale è un altro: i veri termini dell’accordo ed i suoi risvolti operativi non sono noti al pubblico, e probabilmente è giusto così, perché renderlo di dominio pubblico significherebbe farlo sapere anche ai pirati e ai loro mandanti. Ma in ogni caso sarebbe opportuno sapere se fosse stato previsto il recupero immediato dei militari in caso di necessità a mezzo elicotteri o altro. Era previsto in caso di emergenza o di grave incidente il loro trasferimento in Italia e la loro messa a disposizione della magistratura italiana? Era prevista una teleconferenza periodica con Roma come se ne fanno spesso con i militari impiegati all’estero? Oppure quei militari sono stati imbarcati e contestualmente abbandonati a loro stessi sperando italicamente che non accadesse nulla?
Dove è avvenuto l’incidente? Secondo le autorità indiane è avvenuto in acque nazionali, secondo i nostri in acque internazionali. I dati rilevati dalla strumentazione satellitare danno ragione agli italiani: il posto del fattaccio, secondo il GPS che può sbagliare al massimo di cinque metri, si trova a 33 miglia dalla costa sudoccidentale indiana.
Quale è stata la dinamica dell’incidente? Le versioni sono contrastanti. Secondo gli indiani un peschereccio, il “St. Anthony”, svolgeva normale attività di pesca in una certa località quando alle 21,50 di mercoledì 15 febbraio è stato bersagliato da circa 60 colpi, 16 dei quali hanno colpito il peschereccio e quattro di questi hanno causato la morte di due pescatori. Secondo gli italiani, invece, alle ore 16,30 in una località nota per la presenza di pirati i terroristi ma distante 10 chilometri da quella segnalata dalle autorità indiane, un’imbarcazione con a bordo cinque individui armati si è avvicinata con atteggiamento ostile alla petroliera con l’evidente scopo di abbordarla. In base alle procedure previste, sono state effettuate tre raffiche di avvertimento per un totale di 20 colpi, senza colpire l’imbarcazione, quando questa si trovava rispettivamente a 500, 300 e 100 metri di distanza. Dopo la terza raffica i “pirati”, evidentemente dissuasi dall’aver constatato che la petroliera era difesa, hanno operato una virata a “U” e si sono dileguati. Come mai tante differenze nelle due relazioni? Tutto si spiega ammettendo che si sono verificati due diversi conflitti a fuoco in due località diverse, cosa avvenuta realmente e ammessa dalle stesse autorità indiane.
Non dovrebbe risultare difficile stabilire se i due malcapitati siano stati colpiti dai proiettili dei fucili mitragliatori SC 70/90 calibro 5,56 in dotazione ai nostri marò ovvero da qualche arma diversa. Peccato che le autorità indiane si rifiutino di procedere con gli esami medici e balistici (anzi: i due poveracci sono stati già cremati) e peccato che il peschereccio non presenti fori di proiettili a prua, dove giacevano i due corpi.
Perché la nave ha attraccato in India, nel porto di Kochi? Perché gliel’hanno ordinato. Chi esattamente? Non di certo la Marina Militare, che aveva chiaramente raccomandato di non farlo e tantomeno di far scendere a terra i due militari. Sicuramente gliel’ha ordinato la Capitaneria di porto dello stato indiano del Kerala responsabile per territorio, che ha interrogato via radio diverse unità navali presenti nell’area chiedendo chi avesse sventato un attacco di pirati. La “Enrica Lexie”, non avendo nulla da nascondere, ha risposto affermativamente (allo stesso modo, chi aveva qualcosa da nascondere potrebbe aver fatto finta di nulla) ed è stata invitata a raggiungere il porto di Kochi per accertamenti. Da notare che, per ammissione degli stessi indiani, la petroliera è stata indotta a dirigere la prua verso Kochi con l’inganno (“tattica ingegnosa”, l’ha definita il comandante della guardia costiera). Sorprendentemente, il comandante della nave ha acconsentito a cambiare la rotta (l’armatore che deve sapere sempre tutto era informato? E l’unità di crisi della Farnesina, che sa sempre tutto, lo sapeva?) e più tardi, incredibilmente, si è acconsentito anche a consegnare agli indiani i nostri due militari.
È legittima la consegna dei due italiani? Né legittima né opportuna. I militari si trovavano in alto mare dove vige la libertà di navigazione. Inoltre agivano per conto dello stato italiano e quindi godevano dell’immunità e non potevano essere arrestati da alcuno. La consegna dei due militari ha configurato un calamento di braghe indegno di un paese che si vanta di essere “il più piccolo dei grandi e il più grande dei piccoli”, ma è perfettamente in linea con la politica di un paese che intende dare le case ai nomadi anziché ai connazionali. Qui sorge un inquietante sospetto, emerso su alcuni social network: gli indiani , per convincere la nave a cambiare rotta, hanno forse ricattato la compagnia facendo balenare ritorsioni economiche? In ogni caso le responsabilità dell’armatore e del comandante della nave non sono di poco conto e sono tutte da accertare.
Gli altri paesi lo avrebbero mai fatto? Mai. Né gli USA hanno mai consegnato a chicchessia il Capitano Richard Ashby che il 3 febbraio 1998, in circostanze molto meno misteriose, alla guida di un aereo EA 6B Prowler aveva tranciato il cavo della funivia del Cermis causando la morte di 20 persone, né il Marine Mario Luis Lozano che il 4 marzo 2005 uccise Nicola Calipari in periferia di Baghdad. Ma anche senza scomodare la superpotenza, notoriamente restìa a consegnare ad altri i propri militari, non risulta che un simile atto sia mai stato perpetrato nemmeno da Burundi, Trinidad e Tobago, Costarica, Togo o San Marino. E quand’anche un paese si permettesse di arrestare due componenti delle forze speciali britanniche, i militari inglesi andrebbero immediatamente a riprenderseli spianando la prigione con un carro armato, come è effettivamente accaduto cinque anni fa in Iraq, a Bassora.
Come se non bastasse, l’Italia è stata sconfitta anche sul fronte della comunicazione. Nessun ministro o vertice militare si è pronunciato sulla vicenda. Cose da “Ministro, salga a bordo, c***o!”. Al contrario, è stato osservato un assordante silenzio, lasciando ai media e alle autorità indiane la gestione della comunicazione con conseguenze penose per la posizione italiana, assente dalle pagine dei giornali internazionali e presente di rado persino sui media italiani.
Cosa rischiano i due militari? Rischiano la pena di morte e anche per questo sorprende la faciloneria con cui sono stati consegnati agli indiani come se si trattasse di due oggetti di poco valore. E pensare che l’Italia si rifiuta di estradare il peggiore dei criminali se nel suo paese di origine vige la pena di morte. Eppure questo paese non ci pensa su due volte quando si tratta di consegnare ad un paese che prevede la pena capitale due fra i propri migliori servitori.
Cosa fanno gli altri paesi in caso di pirateria? Gli Stati Uniti hanno debellato la piaga della pirateria nel Mediterraneo facendo a pezzi i pirati nordafricani, la Cina affonda senza complimenti le imbarcazioni sospettate di pirateria, noi non siamo capaci di tutelare i militari cui chiediamo sicurezza.
Come andrà a finire? È verosimile che qualcuno “farà l’indiano” e che le cose verranno aggiustate “all’italiana” per non guastare i rapporti fra India e Italia, due paesi storicamente amici, di cui uno emergente e uno tramontante. Dopotutto, questo increscioso episodio cade casualmente fra la visita in Italia del ministro degli esteri indiano e la visita in India di quello italiano. E allora ci saranno le nostre scuse ufficiali, come se i due pescatori li avessimo ammazzati proprio noi, i due marò verranno rilasciati previo pagamento di chissà cosa e chissà quanto mentre i comunicati ufficiali giureranno il contrario e l’Italia, dopo i declassamenti di Standard & Poors e di Moody’s, si autodeclasserà a ultimo dei paesucoli.
L’unica luce in questa vicenda squallida e in tutto questo buio è quella degli sguardi fieri di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.