Sul decreto Sviluppo i paletti del Pdl sono serviti a molto

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Sul decreto Sviluppo i paletti del Pdl sono serviti a molto

 

Il passaggio alla Camera del decreto Sviluppo non è stato inutile. Come ha riconosciuto lo stesso ministro Passera, “è uscito dalle commissioni migliore di come è entrato”. All’annuncio del decreto, molti media hanno parlato entusiasticamente di un provvedimento da 80 miliardi – ma in realtà ne conteneva assai meno (1,7 in sei anni) – poi, delusi, hanno messo il silenziatore.

Il lavoro nelle Commissioni Attività produttive e Finanze ha visto l’approvazione di diverse proposte del Pdl. Innanzitutto l’estensione del pagamento dell’Iva all’incasso, che era un punto del programma elettorale del partito, alle imprese con un giro d’affari fino a 2 milioni di euro. Questa misura riguarda quasi 4,4 milioni di imprese (pari al 96,9%) che non saranno più costrette a “fare da banca” alle imprese di più grandi dimensioni e ne avranno un forte beneficio in termini di liquidità. Abbiamo proposto (ed è stata approvata) anche la deducibilità per legge delle perdite sui crediti di modesta entità. Per consentire alle piccole imprese di accedere ai fondi per la ricerca e l’innovazione, da cui sono state storicamente escluse, abbiamo introdotto i ‘voucher’, sul modello sperimentato con efficacia in Regione Lombardia.

Abbiamo introdotto anche il procedimento disciplinare per i dirigenti della pubblica amministrazione che non rispettano i tempi di legge per il rilascio di permessi e autorizzazioni: il paradosso della PA italiana è che, se un funzionario coscienzioso fa il suo dovere, potenzialmente rischia, se non lo fa non gli capita nulla. Ma ogni giorno di ritardo oltre i termini di legge comporta una perdita di Pil, stimabile in almeno due punti percentuali all’anno, e dei relativi posti di lavoro. Abbiamo anche reso obbligatorio lo sportello unico dell’edilizia che consente di abbreviare drasticamente i termini delle procedure.

Il decreto Sviluppo è divenuto anche il vettore legislativo per le modifiche alla legge Fornero sul lavoro. Come è noto, i gruppi della “strana” maggioranza della Camera avevano condizionato l’approvazione del disegno di legge nello stesso testo licenziato dal Senato prima del vertice europeo di giugno a condizione che il governo fosse disponibile a valutare “tempestivamente” le modifiche proposte sulle questioni dei cosiddetti esodati, dei rapporti flessibili in entrata, degli ammortizzatori sociali. Va riconosciuto che l’esecutivo è stato di parola quando i gruppi si sono presentati a riscuotere la cambiale di Monti.

Mentre il tormentone degli esodati ha trovato un suo spazio nella spending review (per inciso l’aggiustamento della riforma Fornero sulle pensioni su questo punto critico costerà la bellezza di 9 miliardi), i temi della flessibilità in entrata e degli ammortizzatori sociali sono stati raccolti in un emendamento al decreto Sviluppo che ha ulteriormente corretto l’impostazione vessatoria della legge per quanto riguarda i contratti a termine, i titolari di partita IVA, l’apprendistato nella somministrazione, il lavoro accessorio, i vincoli per le assunzioni obbligatorie oltre ad alcuni interventi temporanei sulla cassa integrazione straordinaria e la mobilità . 

Importante anche l’emendamento sui call center che ha messo in sicurezza almeno 30 mila lavoratori e un intero settore industriale. Conclusivamente, i cambiamenti che il Parlamento ha apportato alla legge Fornero riguardano per il 90% la materia della flessibilità in entrata a cui teneva in particolar modo il Pdl che ha condotto una battaglia difficile, di intesa con le forze sociali della impresa e del lavoro, in nome della ragionevolezza.

L’unico punto che non siamo riusciti a modificare, è stata la riforma del processo d’appello proposta dal governo che introduce un filtro al secondo grado di giudizio, in base al quale un giudice decide se vi sia una “ragionevole probabilità” che il ricorso abbia successo e se quindi ammetterlo o meno. Il relatore del Pdl e il gruppo del Pdl hanno votato per la soppressione di tale provvedimento che non risolve il problema della lunghezza della giustizia civile (lo risolve, invece, secondo noi, l’informatizzazione e una diversa organizzazione del lavoro dei tribunali).

Nel complesso esce dalla Camera, soprattutto per merito delle nostre proposte, un buon provvedimento. Almeno secondo noi che pensiamo che la crescita non sia la mera conseguenza dell’iniezione di risorse pubbliche in deficit spending o, peggio, in tax & spending. Ma che dipenda innanzitutto dalla creazione di un processo che liberi le energie di chi vuole rischiare in proprio e di un fisco che non porti via le risorse agli imprenditori con le tasse. Anche per la crescita, la sussidiarietà è la chiave di volta.