Sul federalismo si gioca la partita del governo ma anche il futuro di Bossi
03 Febbraio 2011
Tutto , o quasi, in un giorno. Su federalismo e dossier Ruby governo e maggioranza si giocano il destino della legislatura. In entrambi i casi, si tratta di due passaggi con un forte significato politico, un test strategico insomma. Se sulla richiesta dei pm di Milano il centrodestra può contare su una base congrua di voti, è sul federalismo municipale che si concentrano le maggiori incognite. Una partita fondamentale che segnala non solo l’incertezza del voto, ma che incrocia un’altra partita, tutta interna alla Lega e proiettata sulla successione a Bossi.
La Lega che ha puntato tutto sulla riforma minaccia fuoco e fiamme se il cammino dovesse subire solo anche un rallentamento. E’ su questo che si gioca il destino della legislatura, è su questo che il Cav. non vuole inciampare dopo aver incassato la fiducia quattro volte in due mesi. E’ su questo che ha messo in campo la strategia: da un lato rassicurare l’alleato di ferro, dall’altro spostare il tiro dal muro contro muro coi pm politicizzati all’agenda di governo calibrata sulle priorità per ripresa e sviluppo. Il vertice di ieri con lo stato maggiore del Carroccio guidato da Bossi è servito a fare il punto alla vigilia di un voto che stando al pallottoliere dei numeri in commissione bicamerale consegna uno stato di parità tra schieramenti: 15 a 15. E se questo sarà l’esito finale, tecnicamente varrebbe un respingimento, anche se il presidente La Loggia spiega che in realtà si tratterebbe di un non responso e come tale non ostacola il varo della riforma da parte del governo.
Ma al di là dei tecnicismi, ciò che preoccupa nelle file del centrodestra è il sì o il no su una delle riforme strutturali sulle quali Bossi ha investito tutto il suo ‘portafoglio politico’ e Berlusconi buona parte dei consensi che lo hanno portato a Palazzo Chigi. Irrinunciabile per entrambi l’approvazione del federalismo: per il primo rappresenterebbe la vittoria definitiva dopo vent’anni di battaglie, fuori e dentro il Parlamento; per il secondo si tratterebbe ancora una volta di una ‘fiducia’ su governo e legislatura. Per entrambi, insomma, passaggi fondamentali.
La moral suasion del Cav. e degli emissari che lavorano alla delicata mediazione sul federalismo (affiancata da quella serratissima portata avanti da Calderoli e i suoi uomini) anche ieri non ha conosciuto sosta: l’obiettivo è puntare su alcuni voti indispensabili per far uscire indenne la riforma dalla bicameralina. Come ad esempio quello del finiano Mario Baldassarri (anche per spaccare il terzo polo), ricevuto a Palazzo Grazioli dal Cav. e autore della richiesta di modifica per la compartecipazione dei Comuni all’Iva poi accolta dal ministro Calderoli. Tentativo andato a vuoto, almeno così fino a ieri, col risultato che il fronte del no resta compatto. Un no confermato da tutte le opposizioni, terzo polisti in testa. E se Bersani tuona che in caso di pareggio “governo a casa”, il premier rilancia: con un pareggio “andremo avanti lo stesso perchè la legge consente al governo di procedere anche se il risultato della commissione è questo”.
Un modo per tenere calma la Lega, sempre pronta al voto se il federalismo non passa. Ma è all’interno del Carroccio che le acque sono agitate. Calderoli contro Maroni, sfide politiche e ambizioni personali per la successione al Senatur. E non solo: sullo sfondo, infatti, secondo alcuni dirigenti di via Bellerio impegnati a non rompere la consegna del silenzio specie in una fase come questa, confermano che resta l’obiettivo della premiership, nel dopo-Berlusconi. Il ministro per la Semplificazione punta tutto sul federalismo, quello dell’Interno sul capitolo sicurezza.
Destini paralleli sui quali si gioca una competizione, peraltro in atto ormai da tempo, e sulla quale si posizionano tenenti, sottotenenti, marescialli e soldatini. E la fuga in avanti di Maroni (nell’intervista al Corsera) avrebbe fatto irritare Bossi che in questo momento, pur sventolando il vessillo del voto anticipato, ha tutto l’interesse a rinsaldare l’asse col Cav. E che i suoi uomini di punta ne approfittino – è il ragionamento nelle file leghiste – per innestare su questo una sorta di guerra di posizione ai piani alti del movimento, è una cosa che rischia di avere conseguenze tutt’altro che positive e che “specialmente ora, va evitata come la peste”.
E l’intervento del Senatur per raffreddare gli animi dei suoi colonnelli sarebbe servito da un lato a tenere a freno legittime aspirazioni; dall’altro a confermare al Cav. che la Lega non farà sgambetti. Ma il federalismo non si tocca, altrimenti c’è il voto. Oggi il ‘verdetto’.