Sul futuro dell’Obamacare pesa la pronuncia della Corte suprema

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Sul futuro dell’Obamacare pesa la pronuncia della Corte suprema

23 Marzo 2012

Si chiama “The Patient Protection and Affordable Care Act”, ma il mondo lo conosce come “Obamacare”. È la riforma sanitaria intensamente voluta dalla Casa Bianca. Il progetto sorse embrionalmente decenni fa nell’entourage kennedyano, a lungo è stato il “vorrei ma non posso” della Sinistra statunitense e alla fine il primo presidente mezzo nero degli USA l’ha trasformata in realtà. Oggi ne ricorre l’anniversario tondo tondo. 

L’“Obamacare” fu infatti approvato dal Congresso federale il 21 marzo 2010 e il presidente Barack Obama la mutò in legge firmandolo ufficialmente il 23 marzo. L’idea centrale che l’anima è quella di “socializzare” l’assistenza medica attraverso quello che prende il nome di “individual mandate”: vale a dire l’obbligo imposto a ogni cittadino statunitense di acquistarsi una polizza assicurativa sulla salute, cosa che però non ha precedenti nella storia del Paese.

Perché infatti obbligare ad assistersi in quel modo? Il governo, intanto, veglierebbe: approverebbe le polizze che sono in regola con i propri voleri, boccerebbe tutto il resto con iniziativa arbitraria e sanzionerebbe tutti gli americani che non stipulassero quelle assicurazioni, comminando multe che potrebbero raggiungere persino il 2,5% dei reddito. Il tutto dovrà essere compiuto entro il 2014. 

Del resto, come l’aspra lotta continua tra le Chiese e la Casa Bianca dimostra scopertamente (oggi negli Stati Uniti si svolge una colossale manifestazione di piazza contro l’Amministrazione Obama per difendere il diritto alla libertà religiosa costituzionalmente garantito a ogni cittadino americano, e oggi violato palesemente e proditoriamente dall’“Obamacare”), la riforma sanitaria si arroga il diritto d’imporre l’immoralità a chi ritiene certe cose immorali: essa costringe infatti le polizze assicurative approvate dal governo a includere servizi gratuiti che tutti sono tenuti a subire e quindi a pagare quali la contraccezione, la sterilizzazione e l’accesso libero all’aborto come strumenti di “cura sanitaria”.

Già, perché sul posto di lavoro la gravidanza è notoriamente una malattia pericolosa… Ora, l’“Obamacare” cozza però contro la legge fondamentale del Paese. È incostituzionale, anticostituzionale. Motivo per cui sul capo della Casa Bianca pendono in questo momento 20 querele di livello federale sporte da un totale di 27 Stati dell’Unione nordamericana. Perché infatti un cittadino americano dovrebbe venire minacciato di multa da quel governo di cui è l’unico datore di lavoro se non compera un suo prodotto? Forse perché il governo degli Stati Uniti si è trasformato in un produttore al consumo, in un venditore di aspirapolveri, in un piazzista di lucrose enciclopedie a fascicoli?

Forse che anche il governo degli Stati Uniti sia diventato un incubo totalitario che impone ai cittadini ciò che in coscienza e per legge essi sono perfettamente autorizzati a non volere? L’articolo I, Sezione 8, Clausola 3 della Costituzione federale degli Stati Uniti (la cosiddetta “clausola sul commercio”) stabilisce infatti che fra i poteri del Congresso federale vi sia anche quello di "regolare il commercio con i Paesi esteri così come quello tra i diversi Stati dell’Unione e con le tribù indiane".

Ebbene, l’”Obamacare” infrange tale sovranità, scavalcandola indebitamente.  Obbliga infatti i cittadini ad acquistare un prodotto, annullandone la libertà di muoversi sul mercato dentro le regole stabilite dal potere del Congresso: che resta solo quello di far sì che domanda e offerta, acquisto e vendita, si armonizzino e si rapportino tra loro liberamente, osservando responsabilmente la preminenza di un diritto certo. Obbligare non è cioè ancora la medesima cosa che lasciare liberi, nemmeno negli USA di Obama.

A chi poi dice che la riforma sanitaria voluta dalla Casa Bianca fornisce finalmente l’agognata protezione a chi non l’ha, si risponde facilmente: forse che il mero obbligare soggettivamente qualcuno a fare qualcosa elimina una mancanza oggettiva? Se esiste il problema dei senzatetto – com’è stato brillantemente detto ‒, forse che la cosa si risolva costringendo tutti per legge a comperarsi una casa?

Tra l’altro, lo Stato del Massachusetts ha conosciuto un programma simile per anni: ma molti cittadini di quello Stato hanno scelto di pagare le famose multe invece che sottoporsi all’obbligo di acquistare polizze assicurative statali, e quindi ancora oggi molti restano senz’assicurazione, pagandosi il proprio fabbisogno sanitario diversamente, liberamente. Dunque?

Del resto, chi paga l’“Obamacare”, qual è la sua sostenibilità? Per rispondere, la Casa Bianca ha sfoderato il corpo contundente più molesto di sempre, quello di gravare tutti (altro che i “ricchi”) di nuove tasse “sociali”. Il che però, secondo calcoli della prestigiosa The Heritage Foundation di Washington causerà la perdita di 650mila posti di lavoro in business andati in fumo per insolvenza. Per il Congressional Budget Office (CBO) ne taglierà invece più di 800mila.

E ancora ci si domanda perché sia nato quel movimento dei “Tea Party” che nel novembre 2010 ha colto una vittoria strepitosa al Congresso federale, conquistando la Camera con numeri che non si vedevano da decenni e ipotecando seriamente pure il Senato? Appena entrata in carica, il 19 gennaio 2011 la nuova Camera rigettò infatti subito l’Obamacare con 245 voti contro 189, tagliando così 770 miliardi di dollari in nuove tasse. E il CBO aggiunge pure che ripudiare completamente la riforma decurterà di 540 miliardi di dollari la spesa pubblica del Paese nell’arco di dieci anni, da qui al 2021.

Ma, il 2 febbraio successivo, il Senato federale a maggioranza obamiana ha bocciato quel ripudio con un risicato 51 a 47. Per questo è necessario che il 2 novembre prossimo, oltre che mandare Obama a casa, i nemici di questa assurdità cosmica conquistino pure la Camera (si voterà per rinnovarla interamente) e il Senato (si voterà per rinnovarne un terzo) del Congresso di Washington. È peraltro altamente rivelatore che la riforma sanitaria, il cavallo di battaglia della campagna elettorale obamiana del 2008 e il fiore all’occhiello dell’Amministrazione eletta, venga ora passata completamente sotto silenzio. Per oggi non è infatti prevista alcuna sottolineatura, alcun ricordo, alcuna celebrazione.

Un fiasco pazzesco, insomma, di cui pure Obama si sta vergognando. Aggiungiamoci anche l’incredibile crisi (in termini americani) dei prezzi dei carburanti al dettaglio che gli Stati Uniti stanno vivendo a causa della scellerata politica “ambientalista” perseguita da Obama e la crisi della Casa Bianca non potrebbe essere peggiore. Sono tre anni che Obama prospetta le “magnifiche sorti e progressive” delle energie rinnovabili, promettendo mari e monti grazie a nuovi sviluppi tecnologici i cui costi altissimi varrebbe dunque davvero la pena di accollarsi e dispensando a piene mani disprezzo per le “energie del passato”, il petrolio.

Ma l’unico risultato finora certo è che gli USA hanno sotto i piedi tanto di quel greggio da potere fare da soli (se, una volta cavatolo dal suolo, lo usassero sul mercato interno in regime di liberissima concorrenza senza venderlo alla Cina), ma che invece perdono tempo con l’eolico, il fotovoltaico e altre cose così le quali deprimono sommamente il mercato dei carburanti davvero fruibili, spingono all’impennata dei prezzi poiché nessuno applica più davvero la “clausola del commercio” stabilita dalla Costituzione federale e impongono costi fantastiliardari al Paese senza avere ancora presentato un risultato anche minimo. Insomma, Obama continua a promettere il futuro, ma dà l’aria di essere già trapassato remoto.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.