Sul pareggio di bilancio in Costituzione non ci possono essere escamotage
13 Settembre 2011
La norma che prevede il pareggio di bilancio sarà finalmente inserita nell’articolo 81 della Costituzione. Artefice la situazione di grave crisi internazionale della finanza pubblica e dei debiti sovrani, complice la pressione dell’Unione Europea, che ha imposto l’inserimento di tale norma all’interno delle carte fondamentali di tutti gli stati membri, anche l’Italia si appresta ad adottare il proprio vincolo costituzionale anti-deficit.
Il fatto positivo è l’avvertire una condivisione tra maggioranza e opposizione dell’urgenza di procedere a questo passaggio costituzionale molto delicato. Questa consonanza dovrebbe velocizzare l’iter parlamentare che il disegno di riforma costituzionale si appresta ad intraprendere, dopo che il testo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri.
Se il principio del pareggio è condivisibile in toto, provocherà invece accesi dibatti la parte della nuova formulazione nella quale si afferma che “non è consentito ricorrere all’indebitamento, se non nelle fasi avverse del ciclo economico nei limiti degli effetti da esso determinati, o per uno stato di necessità che non può essere sostenuto con le ordinarie decisioni di bilancio. Lo stato di necessità è dichiarato dalle Camere in ragione di eventi eccezionali, con voto espresso a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.”
La scrittura proposta sembra rappresentare un pericoloso mix tra il principio liberista del pareggio assoluto e la possibilità di adottare politiche di deficit spending di stampo keynesiano, ovvero di incrementare il deficit nelle fasi negative del ciclo economico per poi recuperare il debito attraverso la creazione di surplus nelle fasi positive. La differenza tra le due visioni non è solamente definitoria ma sostanziale. Mentre la posizione liberista, infatti, vieta in assoluto il ricorso al deficit, poiché è nella logica della prudenza che si spenda solamente per le risorse di cui si dispone nel presente, la posizione keynesiana approva invece l’utilizzo del deficit come strumento di politica economica. Ma il vero pericolo insito nella norma proposta, è quello che si lasci nuovamente ai politici l’arbitrio di decidere quando l’economia è in una fase avversa, quando uno stato di necessità esiste e quando questo non possa essere sostenuto da “ordinarie decisioni” di bilancio.
Chi dovrebbe decidere quando l’economia va male? I politici. Chiunque può ben comprendere come questa norma crei l’incentivo per i politici a dichiarare che l’economia ha bisogno d’intervento pubblico, in maniera da spendere durante i cicli elettorali favorevoli scaricando l’onere del recupero di risorse eventualmente all’opposizione. Si creerebbero dei pericolosi cicli elettorali dove l’obiettivo è quello di spendere e costringere l’opposizione a tagliare.
Il paradosso è che la formulazione proposta non è più rigida e liberista di quella attuale, dove già si dice che ogni nuova spesa deve indicare i mezzi dai quali attingere. L’Italia, è noto, la norma sulla copertura finanziaria l’ha sempre avuta, figlia del pensiero di Einaudi che nel pareggio di bilancio credeva da sempre. Quello che bisognerebbe avere il coraggio di fare, affinché la norma diventi più stringente, è vietare del tutto la possibilità di indebitamento, in qualsiasi fase del ciclo economico.
Solo una norma del genere renderebbe finalmente credibile la politica di bilancio italiana, per anni devastata da continui assalti alla diligenza, compromessi storici e quant’altro, che ha sortito come unico effetto quello dell’esplosione della spesa e del debito pubblico, con le conseguenze drammatiche che tutti stiamo vivendo in questo periodo. L’avrebbe proposta il capostipite della scuola liberista classica, il grande Adam Smith, l’avrebbe certamente supportata Luigi Einaudi. E’ tempo che ora siano i politici che si professano liberisti ad istituzionalizzarla nella nostra Carta una volta per sempre.