Sul referendum Renzi non sa più che pesci pigliare

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Sul referendum Renzi non sa più che pesci pigliare

15 Settembre 2016

Del caso Phillips – l’endorsement dell’ambasciatore americano al referendum renziano – imbarazza soprattutto il modo con cui il Governo ha cercato di defilarsi, facendo passare la feluca della più importante rappresentanza diplomatica di un Paese straniero in Italia come una sorta di lupo solitario, pronto a muoversi in totale autonomia da Washington, senza soppesare prima le parole o concordarle con chi di dovere. E’ difficile credere che Renzi fosse all’oscuro di tutto e se scambio di favori c’è stato, cosa possibile tra due Paesi alleati con governi amici, al massimo dovremmo chiederci quali contatti diplomatici si sono attivati e su quali temi dell’agenda bilaterale: la spintarella al Sì di Phillips è arrivata nel giorno in cui il parlamento dava l’ok alla missione in Libia, ma di esempi ce ne potrebbero essere altri, dai negoziati sul TTIP alla battaglia fiscale ingaggiata dalla Ue contro le multinazionali americane. 

Il punto è che il caso Phillips sbiadisce davanti al vero giallo che domina da mesi la politica italiana: la data del referendum. Doveva essere l’autunno, ora i più ottimisti dicono dicembre, ma ieri navigando nel web su alcuni giornali online circolavano voci, di cui andrebbe verificata l’attendibilità, su un orientamento nell’entourage renziano di rimandare tutto addirittura alla primavera del 2017, in concomitanza con qualche nuovo appuntamento elettorale. Dal silenzio patetico sul caso Phillips al giallo sulla data, tutto contribuisce ad alimentare questa sensazione di caos che circola attorno al referendum costituzionale, riflesso della confusione politica in cui si agita Matteo Renzi. 

Idem per l’Italicum. All’inizio, il non plus ultra delle leggi elettorali sarebbe dovuto passare all’esame della Consulta senza che quest’ultima battesse ciglio, poi però si è aperta la discussione sulle eventuali modifiche da introdurre alla legge e qualcuno sarà stato stuzzicato dalla possibilità di usare una eventuale decisione negativa della corte per depotenziare il fronte del No interno al Pd, che proprio di quelle modifiche ha fatto la sua parola d’ordine. Le cose però sono cambiate nuovamente e ora sembra che la Consulta possa far slittare la decisione, prendendo tempo per esaminare anche gli ultimi ricorsi sulla legge e tenendo presente il contesto, ovvero l’impatto che la decisione potrebbe avere su una campagna referendaria sempre più in bilico. Anche in questo caso, l’impressione è che adesso Renzi abbia intuito che se la sua creatura elettorale venisse bocciata dalla corte, la sberla al governo sarebbe clamorosa e il danno alla fine sarebbe molto superiore al vantaggio. 

Insomma il nuovo paradigma del renzismo appare dominato dall’incertezza, da un continuo rovesciamento di intenzioni, condito, ovviamente, dalla solita furbizia con cui si cerca di uscire dall’angolo. La verità è che la fase uno della campagna referendaria, il referendum come fonte della legittimazione definitiva e plebiscitaria del renzismo, è finita, e siamo entrati nella fase due, quella della spersonalizzazione della consultazione popolare in un magma indistinto e pieno di contraddizioni. Renzi sul referendum non sa più che pesci pigliare e l’ambasciatore Phillips potrebbe spiegarlo agli investitori americani, se ci riesce.