Sul risarcimento ai Savoia il fronte monarchico si spacca

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Sul risarcimento ai Savoia il fronte monarchico si spacca

22 Novembre 2007

Il Coordinamento dei monarchici italiani (Cmi) del cavaliere Eugenio Armando Dondero è uno dei due o tre gruppi di pressione politica, una lobby in pratica, che appoggia apertamente il diritto dei discendenti dei Savoia di tornare a fare politica in Italia. Ciò nonostante ieri, con un comunicato ufficiale diffuso via internet attraverso la loro newsletter, tricolore.com., hanno spiegato perché le richieste risarcitorie avanzate da Vittorio Emanuele e da suo figlio Emanuele Filiberto sarebbero in realtà campate in aria.

La sostanza è che la legge, anche quella internazionale che nelle varie convenzioni dei diritti dell’uomo, da Roma a Ginevra nell’immediato dopoguerra recepiva gli intendimenti delle Nazioni Unite, non può mai essere retroattiva. Pertanto “per eventuali danni morali e/o biologici non ci si può  appellare alla Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali entrata in vigore

nel settembre del 1953, né alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo (istituita nel 1954)o alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo (istituita nel 1959), perché la loro istituzione è successiva ai fatti incriminati: dalla  partenza di Re Umberto II il 13 giugno 1946 all’entrata in vigore della Costituzione, avvenuta il 1° gennaio del 1948”. Inoltre la maggior parte dei beni reclamati non furono confiscati bensì avocati, cioè usucapiti, dallo stato, dopo la fuga a Oporto di Umberto II.

C’è da dire che il Cmi è una costola scissionista del Movimento momarchico italiano di Alberto Claut, che ne è segretario nazionale, e che al contrario invece sostiene le richieste delle ex altezze reali. Il movimento monarchico italiano è un’organizzazione che vanta anche i suoi parlamentari eletti trasversalmente dentro la Cdl, principalmente nell’Udc e in An. Il suo più famoso, ormai ex rappresentante, era il presidente della commissione Telecom Serbia Enzo Trantino.

Secondo Claut, i monarchici di Dondero prendono queste posizioni contro corrente solo per distinguersi e fare notizia. Fatto sta che l’associazione tricolore da loro gestita invade le caselle di posta elettronica di migliaia di italiani e molti sono iscritti al loro sito internet www.tricolore-italia.com.

Nel comunicato riguardante i “Savoia e i risarcimenti”, questi monarchici che comunque si definiscono ”lealisti” alla linea dinastica di Umberto II, precisano su quali beni sia ancora possibile una controversia legale tra gli eredi ancora in vita dei Savoia e lo stato italiano: “Il dubbio persiste per la proprietà della preziosa collezione  numismatica legata al popolo  italiano dal Conte di Pollenzo il 9 maggio 1946, con lettera al Presidente del Consiglio, per la proprietà dei gioielli consegnati, per ordine di Re  Umberto II, il 5 giugno del 1946, dal  Ministro della Real Casa Falcone Lucifero a Luigi Einaudi, allora Governatore della Banca d’Italia, depositati e custoditi presso l’istituto”. In pratica i famosi gioielli della corona.

Certo si tratta di oggetti e preziosi dal valore inestimabile, ma mai tale da raggiungere le cifre (nell’ordine dei 300 milioni di euro) che si sono sentite nei giorni scorsi. Somma che invece si potrebbe facilmente raggiungere includendo le proprietà per le quali Vittorio Emanuele e suo figlio adesso battono cassa.

Ma il Cmi sottolinea nel proprio comunicato che  “sarebbe sbagliato e prova di scarsa conoscenza includere nel  patrimonio degli eredi di Re Vittorio Emanuele III il patrimonio sabaudo (dal Palazzo Reale a Torino a quello di Cagliari) e il  patrimonio proveniente dagli Stati preunitari: dai Palazzi Reali di  Napoli e Palermo (Casa Reale di Borbone delle Due Sicilie), a Palazzo Pitti a Firenze (Casa Granducale di Toscana), ai Palazzi Ducali di  Modena e Reggio Emilia (Casa Ducale di Este), al Palazzo Ducale di  Genova (Repubblica di Genova), al Palazzo Dogale a Venezia  (Serenissima  Repubblica, poi Casa d’Austria) fino al Palazzo del  Quirinale (Stato  Pontificio)”.

E perché sarebbe una pretesa errata quella di Vittorio Emanuele e di suo figlio Emanuele Filiberto? Perché “tutti ricordano che questi beni furono concessi al Demanio nel 1919 da Re Vittorio Emanuele III”. Inoltre secondo il Cmi di Dondero “i beni avocati allo Stato consistono nella parte di Re Umberto II delle vendite effettuate dalle tre sorelle del Sovrano in esilio e dagli eredi della Principessa Reale Mafalda di Savoia, cioè Villa Savoia a Roma, il castello di Sarre (AO), il castello di Racconigi (CN), la canonica del  Santuario di  Racconigi (CN) e una proprietà a Castelporziano (RM)”.

Ma nessuno li potrebbe reclamare in quanto “ non ci possono  essere paragoni con le pretese di restituzione  avanzate dal Re di Romania Michele I, dal Re di Bulgaria Simeone II, dal Re degli Elleni Costantino II e dai diversi Capi di Case Reali e Principesche dell’Europa centrale ed orientale, i cui beni erano stati confiscati”.

Nel caso dei Savoia italiani non di confisca si dovrebbe parlare, quindi, ma di avocazione da parte dello stato. Una specie di usucapione dovuta all’abbandono di questi beni dopo la precipitosa e un po’ vergognosa fuga in esilio.