Sul tema del burqa il Pd impari da Luciana Sgrena
05 Agosto 2011
di Souad Sbai
Ho letto molto in questi giorni, soprattutto per capire come l’opinione pubblica italiana stesse assorbendo e commentando la novità di un provvedimento vero contro le discriminazioni femminili. La sorpresa invero non è stata molta, se già in Commissione il Pd aveva votato contro i suoi stessi emendamenti, spaccandosi su un tema delicato, che è quello delle libertà personali. Addirittura il blog di Panorama vedeva un articolo sul cui gusto e opportunità molto ci sarebbe da discutere, soprattutto ricordando che è bello e facile avere il cuore di sinistra e il portafogli di destra.
A patto che a destra ci siano solo ricchi e a sinistra solo poveri, cosa che non ho mai creduto, francamente. Ma tant’è, il dibattito su burqa e niqab in Italia ha preso la solita e squallida piega politica, con una certa sinistra incapace di distinguerlo dall’antiberlusconismo che la anima dal profondo. Tanto astiosi questi signori da lasciare le donne in balia dell’estremismo, pur di non votare un provvedimento che esce dal centrodestra, sebbene sia una legge di civiltà. Avrei voluto in Commissione, al posto di questi signori, Giuliana Sgrena, donna di sinistra che dopo l’approvazione del provvedimento è rimasta lucida, perché conosce il mondo dell’estremismo e ha trattato questo tema, sul blog del Manifesto, a viso scoperto. Gi uomini del Pd imparino da Giuliana.
Non parlo delle donne, perché sono praticamente inespressive su questo tema. Ciò che questi galantuomini, ma soprattutto queste signore radical chic da salotto italiano falsamente perbenista dovrebbero sapere è che l’idea di prevedere un divieto a burqa e niqab, ma a ben vedere contro tutto ciò che nasconde il viso della donna, non nasce dal nulla. Nasce dal sapere e interiorizzare quello che queste donne oppresse provano, sentono e soffrono. Dal calore delle loro lacrime, una volta tolto di dosso quel carcere inumano e ambulante, unico momento in cui, rotte dal pianto a dirotto, si sentono davvero esseri umani. Condannate a “non essere”, relegate ai margini della società, impossibilitate a vedere i colori della vita e del mondo, sono donne che insegnano a tutti cosa vuol dire la dignità anche nella sofferenza. E soprattutto insegnano cosa vuol dire la morsa dell’integralismo a chi, soprattutto in Italia, ancora si riempie la bocca di vuoti concetti basati sul relativismo culturale che ha distrutto l’Europa.
Altro che diritto di libertà, qui parliamo di un’imposizione che l’Islam, quello moderato non ha mai né conosciuto né tantomeno propagandato o tramandato. Un principio base che in Marocco invece conoscono bene, perché, durante una breve visita per la Festa del Trono, ho toccato con mano che il dibattito è sui diritti. Delle donne, delle persone, della vita, dei giovani. Non importa chi sia il beneficiario dei diritti, l’importante è che questi vengano rispettati; questo paiono voler dire i marocchini a chi in Europa manifesta vicinanza e criminogena simpatia verso gli indumenti dell’oppressione. Dopo la riforma di Mohammed VI il Marocco continua con ancora maggiore forza a percorrere la via della modernizzazione e della laicità. Ma a nessuno è mai venuto in mente di pensare che proprio gli stessi signori che stanno cavalcando la cosiddetta “primavera araba”, sono gli stessi che a Tunisi chiudono le rassegne cinematografiche perché per loro contrarie alla sharia, gli stessi che obbligano in Egitto le candidate alle elezioni ad andare in tv solo con il velo e gli stessi che impongono il niqab alle loro donne in pubblico? E che, aiutati da certi personaggi che ancora prendono lo spazio della comunicazione in Italia, vorrebbero fare del nostro paese una Kabul mascherata.
Ho incontrato, a ridosso dell’approvazione del provvedimento, il movimento “Giù le mani dalla mia testa”; un gruppetto di ragazze, italiane e arabe, che sono ferocemente ma intelligentemente contrarie al burqa, al niqab e all’annullamento della donna in nome di un Islam che non riconoscono perché non è quello dei loro padri. In loro e nei post sul loro blog, ho rivisto la forza e la tenacia di noi quando iniziammo, raccogliendo mucchi di stoffa dall’oppressione e dall’oscurantismo dei loro padroni, per farle tornare donne, esseri umani. Il messaggio continua a correre, attraverso la parola e oggi attraverso il web, che così diventa davvero strumento di liberazione, se corroborato dalla volontà politica di cambiare le cose.