Sul voto in Iran pesa la faida tra Khamenei e Ahmadinejad

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Sul voto in Iran pesa la faida tra Khamenei e Ahmadinejad

02 Marzo 2012

In Iran oggi si vota per il rinnovo dei 290 seggi del parlamento. Si tratta della prima consultazione dopo le note vicende delle presidenziali del 2009, che videro la nascita e il repentino fallimento della ‘onda verde’ iraniana cresciuta attorno alla candidatura di Mir-Hossein Mousavi. Sono trascorsi appena tre anni, ma il contesto politico sembra essere radicalmente mutato. Nonostante la “Guida Suprema” Khamenei abbia più volte invitato gli iraniani ad andare a votare per rafforzare il prestigio del paese, si teme un’affluenza alle urne piuttosto bassa.

L’alleanza Khamenei – Ahmadinejad è da tempo in crisi. I dissidi tra i due hanno cominciato a manifestarsi a partire dalla primavera dello scorso anno, quando la Guida era intervenuta per imporre il reinsediamento del capo dei servizi segreti Heidar Moslehi, appena dimissionato da Ahmadinejad. Il ruolo di Khamenei nel governo non sembra essere in discussione; neanche nell’ipotesi in cui il Ahmadienajd riuscisse ad ottenere la maggioranza dei seggi.

La posta in gioco per quest’ultimo è un’altra: costruire un movimento che possa restringere l’influenza teocratica nella politica iraniana. In sostanza le fazioni si dividono in due grandi gruppi: da una parte coloro che ritengono che gli ayatollah abbiano l’ultima parola su tutte le politiche pubbliche e coloro che rifiutano tale visione.

Quanto alle opposizioni riformatrici, dal loro campo è arrivato l’ennesimo invito al boicottaggio. “Jaras”, piattaforma on-line da sempre vicina alle posizioni riformiste, ha pubblicato un editoriale in prima pagina in cui si chiede a tutti coloro che credono nella vera libertà di non partecipare alle elezioni, per dimostrare la stanchezza del popolo iraniano di fronte a consultazioni fasulle di questo tipo. Anche per la testata “Kalame”, di proprietà del leader riformista Mir Hossein Mousavi, gli iraniani dovrebbero restare a casa, in segno di solidarietà per Mousavi e per Mehdi Karroubi, leader riformisti agli arresti domiciliari da ormai un anno.

Con la maggior parte dei riformisti arrestati o banditi dalla competizione, oggi si consuma una sfida tra le due fazioni più conservatrici: da un lato, il “Fronte Unito”, che fa capo all’ayatollah Khamenei. Dall’altro, il “Fronte della Resistenza” del Presidente Ahmadinejad. Si tratta di una contrapposizione figlia del particolarissimo ordinamento istituzionale iraniano, di un unicum a metà tra democrazia parlamentare e teocrazia.

Le elezioni potrebbero però segnare l’inizio del redde rationem per i due gruppi di potere in conflitto. Ahmadinejad rappresenta una serissima minaccia per l’establishment khameneista. E così, in base ai desiderata del fronte clericale, la tornata elettorale di oggi dovrebbe rappresentare l’inizio del declino dell’ex-sindaco di Teheran. Si tratta anche di un vero e proprio referendum pro o contro Ahmadinejad, il cui mandato termina nel 2013.

Sotto l’aspetto economico, il suo settennato è da molti considerato un disastro. Le sanzioni economiche internazionali imposte dall’Occidente, imposte a seguito dei rischi connessi al programma di proliferazione nucleare, stanno portando il paese al disastro. La diminuzione delle importazioni sta provocando tanto un’impennata dei prezzi dei beni essenziali tanto il crollo del rial – la moneta ufficiale iraniana – rispetto al dollaro. Solo un’arma sembra essere rimasta a disposizione del regime: l’aumento del prezzo del greggio, utilizzato non solo in chiave economica ma anche in chiave geopolitica. L’aumento della conflittualità nello stretto di Hormuz e il poternziale attacco israeliano contro le installazioni del programma militare nucleare iraniano, rivestono un ruolo fondamentale in tutta questa vicenda.

Fino al 2017 Ahmadinejad, ormai agli sgoccioli del suo secondo mandato, non sarà eleggibile (l’ordinamento iraniano prevede massimo 3 mandati, di cui solo 2 consecutivi). Lo stesso problema che ha avuto Vladimir Putin in Russia. In questo senso, con Ahmadinejad fuori gioco, le possibilità per Khamenei d’insediare un candidato filo-clericale nel 2013 aumentano esponenzialmente. Le elezioni di oggi sono un primo passo in questa direzione.