Sul welfare Prodi ha poche idee ma confuse

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Sul welfare Prodi ha poche idee ma confuse

16 Ottobre 2007

Lo stato in cui versa il Governo è grave ma non è serio. L’ultimo
capitolo è quasi divertente: dopo aver siglato un accordo sofferto e costoso –  pomposamente appellato accordo sul Welfare (in
realtà si tratta di due contro-riformette della legge Maroni sulle pensioni e
della legge Biagi sul mercato del lavoro) – pur di non irritare la sinistra
radicale, Prodi ha temporeggiato per circa tre mesi prima di portare in
Consiglio dei ministri il testo del Governo, attendendo l’esito glorioso e
progressivo del referendum organizzato (in modo sembra piuttosto casereccio)
dai sindacati.

Il trionfale successo dei SI (oltre l’80%) ha spinto il
premier a rompere gli indugi ed a portare il testo in Consiglio. Testo che da
più parti si pretendeva dovesse essere blindato. Ma già al termine della
riunione di venerdì si sono notate le prime crepe: il testo appariva profondamente modificato in alcuni punti significativi (introduzione di un
termine massimo di rinnovo dei contratti a tempo determinato, eliminazione del
tetto di lavori usuranti che possono dare diritto ad un trattamento
pensionistico agevolato, eliminazione della garanzia della pensione almeno al 60%
dell’ultima retribuzione per i giovani precari) che ha fato insorgere tutti:
Confindustria, CISL, UIL ed alla fine, a malincuore, anche la CGIL.

Tutti a denunciare il reato di “concertazione tradita”. Il
Governo prima stipula un accordo e poi, pur di mantenere i propri equilibri
interni, definisce un testo diverso su alcuni punti qualificanti! Il Governo in
tal modo ha sorpassato a sinistra lo stesso sindacato, che pure (occorre
riconoscerlo) era stato molto solidale con lui.

La vicenda rischia di essere la pietra tombale sulla pratica
della concertazione sociale, del quale proprio il Presidente Prodi è sempre
strato uno dei massimi cultori. Quest’ultima considerazione ci aveva quasi
allietato nel fine settimana. Certo le modifiche introdotte dal Governo
rappresentavano l’ennesimo cedimento alle richieste della sinistra radicale, ma
ci consolavamo pensando che l’atteggiamento ondivago del Governo avrebbe forse
finito per mandare in soffitta quel vecchio arnese della concertazione che a
nostro avviso rappresenta oggi, con un sistema politico debole e parti sociali
forti ma non rappresentative della società, uno dei principali ostacoli alla
modernizzazione del Paese.

Quello di Prodi c’era quasi sembrato un sussulto di orgoglio:
vivaddio esistono istituzioni democratiche che sono rappresentative
dell’interesse generale che non possono essere ritenute vincolate da accordi più
o meno precisi stretti con i sindacati. Se in Consiglio dei Ministri (massima
istituzione del potere esecutivo del Paese) emergono necessità politiche che
consigliano di introdurre modifiche ai disegni di legge da sottoporre al
Parlamento è del tutto legittimo che il Governo lo faccia!

Ma non è andata così. Colto con le mani nella marmellata,
dopo aver passato un paio di giorni a negare, sostenendo che il testo era
assolutamente fedele agli accordi, Prodi ha convocato in tutta fretta i
sindacati a Palazzo Chigi, rassicurandoli sul fatto che entro venerdì il testo
sarà corretto di conseguenza. Le differenze tra i due testi non derivano da una
diversa valutazione politica ma solo da questioni di trasposizione. Insomma una
questione di drafting. Il lìder maximo  Epifani gli ha addirittura dato le 48 ore.
Gradisce che il testo sia emendato prima di giovedì quando si riuniranno i
direttivi di CGIL, CISL e UIL. Che il testo sia stato approvato dal Consiglio
dei Ministri ed annunciato al Paese appare del tutto secondario. Che ci siano
delle gerarchie istituzionali e delle forme da rispettare sembra non
interessare più a nessuno. Anzi, in queste ore, capita di dover ascoltare
un’accorata difesa dell’autonomia delle istituzioni e del Parlamento dai diktat
sindacali da parte di esponenti di spicco della sinistra neo-comunista. Ma
non importa. Tutto pur si salvare la sacralità della concertazione sociale!