Sulla legge 194 la pregiudiziale ideologica rischia di prevalere sul buon senso laico
02 Gennaio 2008
Chi
nell’agone politico – nella maggioranza, ma anche nell’opposizione –
erige steccati e solleva polveroni al grido di “la legge 194 non si
tocca”, non è ben chiaro con chi ce l’abbia.
Di
certo non puà avercela col cardinale Ruini, che in questi giorni non ha
fatto altro che ribadire in sostanza quanto aveva già affermato con
chiarezza lo scorso settembre, rivolgendosi ai giovani della Summer
School della Fondazione Magna Carta. Ovvero che – dal punto di vista di
un credente – una legge come quella che regola le interruzioni di
gravidanza sarebbe meglio che non ci fosse. Ma che, in assenza delle
condizioni perché essa venga abrogata, per il medesimo credente sarebbe
non soltanto lecito, ma addirittura doveroso contribuire ad
un’interpretazione che la migliori, adeguando una normativa vecchia
trent’anni ai progressi medici e diagnostici.
Ma
ancor meno lo (stonato) coro bipartisan che si affanna a difendere una
legge che nessuno vuole cancellare può avercela con quanti, laicamente,
si spendono dentro e fuori il Parlamento affinché proprio attraverso la
proposta di una revisione e di un aggiornamento delle linee guida che
sovrintendono all’attuazione delle regole vigenti in una materia così
sensibile alle innovazioni scientifiche – un “tagliando%E2