Sulla legge elettorale Massimo e Walter si giocano tutto
04 Gennaio 2008
La tensione resta altissima. E lo scontro sulle riforme, tanto nel Partito Democratico quanto nell’ intera Unione, non accenna a placarsi. A due giorni dall’intervista con cui il numero due del partito, Dario Franceschini, ha rilanciato l’ipotesi del modello presidenziale francese, i toni della polemica non si sono attenutati. Romano Prodi ribadisce che la trattativa sulla legge elettorale spetta alle forze politiche e al Parlamento, spiega che «il governo crea solo il clima affinchè ci possa essere l’intesa» e sottolinea che è importante «non buttare via il lavoro fatto». E dopo la dura presa di posizione espressa ieri, Massimo D’Alema in un’intervista al Messaggero, torna anche oggi a criticare l’uscita di Franceschini. «C’è stato un giro di consultazioni, promosso dal leader del Pd – ricorda il vicepremier – è stata presentata la proposta Vassallo. I risultati di questo lavoro sono stati offerti ai presidenti della commissioni di Camera e Senato come base dell’opera del Parlamento. Si sta lavorando a una legge elettorale proporzionale con sbarramento e con correttivi. E su una riforma costituzionale che prevede il cancellierato e la sfiducia costruttiva». Dunque, ribadisce D’Alema, «la strada indicata per la ricerca di un accordo è questa: non mi sembra utile ricominciare da capo». Ma se Veltroni fa trapelare la sua irritazione per le parole del ministro degli Esteri, lo stesso Franceschini non torna indietro e ripete ai microfoni del GrParlamento che una mediazione si può trovare, ma che «l’elezione diretta del presidente della Repubblica accompagnata da un Parlamento forte sul modello francese è da anni la proposta dell’Ulivo prima e poi del Pd».
Il quadro, insomma, resta frastagliato e confuso. E regala una sola possibile chiave di lettura: quella della resa dei conti tutta interna al Pd tra Walter Veltroni e Massimo D’Alema. Un redde rationem che non può non concentrarsi sulla legge elettorale. Il segretario del Pd vuole chiudere entro gennaio l’accordo, innanzitutto con Forza Italia, su un sistema che premi i due partiti maggiori. Il ministro degli Esteri, invece, vorrebbe bloccare questo progetto e costringere il sindaco di Roma a ripiegare sul sistema tedesco puro. Un braccio di ferro rimasto a lungo sotto traccia ma ormai venuto alla luce in maniera più che visibile. Basta vedere le parole dettate da D’Alema per rendersene conto. “Così si corre davvero il rischio di sfasciare tutto. Il pericolo è che con questa mossa perdiamo tutto”, ovvero non solo le riforme ma anche il centrosinistra nella sua attuale conformazione e il governo. Il timore che dietro il rilancio sul semipresidenzialismo alla francese ci sia la volontà di far saltare Prodi, insomma, non è certo sussurrato ma è pronunciato in maniera chiara.
Di fronte a uno scenario così esplosivo Veltroni evita di gettare acqua sul fuoco. Non è un caso che il sindaco di Roma abbia lasciato a Franceschini l’onere di mettere in campo l’ipotesi francese. Ed eviti di tornare sull’argomento nonostante la sortita abbia fatto scattare la rabbia di mezzo centrosinistra. Il messaggio, d’altra parte, è inequivocabile: o si fa una riforma gradita al Pd e a Forza Italia oppure si procede con il referendum.
I veltroniani, in questo delicato gioco di incastri e in questo ormai visibile braccio di ferro, fanno capire che non sono disposti a mettere da parte il loro obiettivo iniziale. “Noi siamo disponibili a una mediazione ma non a cedere a chi, come Casini e Rifondazione, ha l’obiettivo del tedesco puro che non è funzionale agli interessi del Paese” dice Giorgio Tonini a Laura Cesaretti de il Giornale. Sullo sfondo, però, è necessario contestualizzare lo scontro per poterlo capire fino in fondo. Il duello D’Alema-Veltroni, infatti, prende le mosse soprattutto dalla concezione stessa che i due ex dirigenti diessini hanno della nuova creatura nata dalla fusione tra i Ds e la Margherita. Se il titolare della Farnesina punta a un Partito Democratico di impronta socialdemocratica, alleato con un partito di centro, e per questo vuole una legge tedesca che consenta alla Cosa Bianca di nascere, l’ex direttore de l’Unità ha in mente tutt’altro. Veltroni, infatti, desidera creare un Partito Democratico che riproduca lo schema statunitense, ovvero una forza a vocazione maggioritaria. E questo modello ha un grande nemico: il Centro, ovvero il luogo in cui il bipartitismo rischia di arenarsi nelle secche dell’obbligatoria mediazione. Inchiodando il sistema italiano alla sua eterna fragilità figlia della Prima Repubblica.