
Sulla legge elettorale rispuntano i malpancisti. Pdl e Pd in fibrillazione

28 Marzo 2012
Il sì di ABC fa i conti coi no interni. Sono passate giusto ventiquattrore dall’accordo di massima che evita le tentazioni piddine di voto anticipato, eppure le fibrillazioni nei due partiti di maggioranza sono riesplose puntualissime. Nel Pdl gli ex aennini ma pure alcuni ex forzisti temono la fine del bipolarismo e puntano sul mantenimento dell’attuale sistema con poche modifiche; nel Pd l’ala bindian-prodiana con l’aggiunta di parte dei bersaniani non digerisce il nuovo schema e continua a spingere sulle urne in ottobre sfruttando il ‘Porcellum’ e il vantaggio (presunto) dei sondaggi. Intanto gli ‘sherpa’ ieri hanno chiuso il testo di riforme costituzionali che sarà trasformato in un emendamento da presentare in tempi rapidi in Senato.
Nel quartier generale di via dell’Umiltà la strategia è chiara: da un lato una nuova legge elettorale – un mix tra modello tedesco e spagnolo – serve a blindare Bersani alla legislatura e scongiurare così le fughe in avanti di molti democrat che vorrebbero usare la riforma del lavoro come grimaldello per tornare a votare e difendere così l’articolo 18. Dall’altro, non escludere alcuna opzione, tra un anno, per le politiche: un impianto del genere potrebbe favorire o un nuovo patto con la Lega anche se ad oggi lo status quo dice il contrario, oppure investire sull’ipotesi di un’intesa (e magari un governo) con Casini.
Eppure l’accordo di ABC su riforme costituzionali e legge elettorale da far procedere di pari passo, ieri ha incassato maldipancia interni. Anzitutto la nota dell’ex colonnello di An Altero Matteoli: “Apprendiamo della riunione dei ‘tecnici’ per definire il disegno di legge sulla legge elettorale senza che il Pdl abbia ancora convocato gli organi del partito. E’ necessario che Alfano convochi il partito per discutere su un argomento vitale per la politica e per il Paese”. L’ex ministro critica un quadro confuso nel quale “dopo l’accordo tra Alfano, Bersani e Casini, Gasparri sostiene che il bipolarismo è salvo, Adornato afferma esattamente il contrario, Parisi che è in forse la convivenza tra Pd e ex Margherita, altri dicono che chi non è d’accordo con quanto stabilito dai tre leader politici vuole lasciare in vita il Porcellum. E’ evidente che l’accordo abbia scatenato polemiche e confusione che sono certo aumenteranno in modo esponenziale nei prossimi giorni”. Di qui la richiesta del vertice di partito per “affrontare l’argomento e trovare una sintesi senza la quale le conseguenze possono essere gravissime”.
Agli ex An e tra questi il coordinatore nazionale La Russa (che non aveva escluso l’ipotesi di una correzione dell’attuale sistema di voto qualora il cammino sulle riforme avesse avuto una battuta d’arresto), non va giù l’idea di maggioranze che si formano in parlamento, dopo il voto, rinunciando così al vincolo di coalizione. Rispetto a questo schema, in sostanza, opterebbero per mantenere ciò che oggi c’è, apportando alcune correzioni soprattutto nella parte della rappresentanza parlamentare. Non solo: c’è il timore che in qualche modo si vada a riscrivere un sistema di voto che, in caso di necessità, possa consentire anche la formazione di esecutivi di larghe intese tra i maggiori partiti. Una sorta di viatico per un Monti-bis, magari coi politici al posto dei ‘tecnici’.
C’è da dire che lo stesso Berlusconi più volte ha manifestato il convincimento che le alleanze forzate poi non garantiscono al cento per cento la stabilità dei governi e dunque meglio sarebbe tornare a premiare i partiti secondo uno schema che non è più nel segno di un bipolarismo muscolare come è stato finora, bensì di un bipolarismo mitigato, ‘un bipolarismo possibile’ come lo definiscono alcuni, che si regga essenzialmente sulla forza e i numeri di due grandi partiti alternativi e alcune forze politiche intermedie (lo sbarramento ipotizzato al 5 per cento ridurrebbe la frammentazione). In questo scenario, Casini potrebbe essere costretto a costruirsi un suo ruolo perché se è vero che potrebbe giocare ancora quello di ago della bilancia, è altrettanto vero che dovrebbe lavorare sodo per non condannarsi all’ininfluenza.
Per placare i malumori, Alfano avrebbe rassicurato i suoi sul fatto che sulla riforma elettorale non c’è ancora nulla di definitivo e che il percorso sarà lungo e non certo in discesa. D’altra parte – è il ragionamento del segretario del Pdl – restare fermi su questo punto sarebbe controproducente, tantomeno gioverebbe lasciare troppo margine di manovra al governo dei professori. Non a caso, i toni sferzanti usati ieri da Monti sul fatto che il consenso ce l’ha il governo e non i partiti, hanno contribuito ad aumentare il livello di irritazione nei palazzi della politica e in modo assolutamente bipartisan.
Più o meno la stessa situazione per il leader del Pd. A Bersani hanno scritto un chiaro no allo schema in discussione il gruppo dei parlamentari prodiani, ma pure l’ala bindiana storce il naso, più incline ad incamminarsi verso il ‘voto anticipato’. In più e diversamente dal Pdl, il leader democrat deve smorzare il livello interno di irritazione nei confronti del governo sulla riforma del lavoro. Tensioni che anche dopo la direzione nazionale di lunedì, restano evidenti.
Quanto al sistema di voto, pure nel Pd, sono in molti a puntare il dito contro quello che viene definito un ‘bipolarismo all’acqua di rose’. Ma chi sono? Le critiche più forti vengono dalla componente bindian-prodiana, quella ancora affezionata al modello dell’Unione, quindi all’idea che un sistema elettorale che impone coalizioni prima del voto, renda più forte l’ipotesi di alleanze con la sinistra radicale. Di qui le critiche feroci di Vendola e Di Pietro all’accordo di ABC: entrambi preoccupati per quello che leggono come un tentativo di marginalizzazione. L’altro timore dell’ala bindian-prodiana è che il nuovo schema possa in un certo senso lasciare più spazio di manovra alla segreteria nazionale per tentare una convergenza al centro con Casini.
Di diverso avviso i riformisti veltroniani. Il senatore Giorgio Tonini la mette giù così: “Dobbiamo andare oltre il bipolarismo di questi anni fondato sul coalizioni formate prevalentemente contro un avversario piuttosto che cementate attorno a un programma condiviso. Per noi del Pd questo cambiamento era già maturo tra il 2007 e il 2008: Veltroni lo propose a Berlusconi ma lui rifiutò perché allora intravedeva la vittoria elettorale a portata di mano; i fatti gli hanno dato ragione ma poi lui stesso si è resto conto dell’impossibilità di governare per il tempo naturale della legislatura”.
L’idea di riforma elettorale riparte da lì. Il ragionamento sul quale ABC si sono ritrovati è quello di un impianto misto “tedesco corretto in chiave spagnola”, spiega Tonini. Prevede “metà collegi uninominali e metà col proporzionale di lista, corretto con un criterio spagnolo di attribuzione di seggi non su base nazionale bensì su base circoscrizionale. Il che tende a polarizzare, a mantenere una forma di bipolarismo più ordinato attorno a due grandi partiti. Questa è una uscita virtuosa dall’attuale crisi, ovvero passare da un bipolarismo di coalizione disordinato a un bipolarismo fondato sul ruolo portante di due grande forze politiche che restano i pilastri del sistema, protagoniste dell’alternanza”.
In altre parole, lo schema in chiave 2013 potrebbe essere questo se la riforma elettorale arriverà in porto: ci sarà una competizione diretta tra Alfano e Bersani nel ruolo di candidati premier. Chi vince sarà il perno sul quale si formerà il nuovo governo. Certo, poi andrà visto in che modo si determinerà questa vittoria e cioè se chi vince sarà autosufficiente o meno.
Quanto all’obiezione che gli esecutivi possano nascere in parlamento e dunque dopo il voto, il senatore Tonini osserva: “Possono nascere in un parlamento assemblearistico oppure in un parlamento più ordinato, ad esempio con cinque forze, due grandi e tre intermedie, e attorno al partito che vince si costruisce il governo possibile. Funziona così in Germania, è questo il modello tedesco: vincerà di nuovo la Merkel o il candidato socialdemocratico? Poi, se attorno alla Merkel si fa o meno un governo di larghe intese resta da vedere, non si può stabilire a monte. C’è però il vantaggio che tu stai in una logica di politica nazionale e se a questo si aggiungono alcuni correttivi di tipo costituzionale come il rafforzamento dei poteri del premier, la sfiducia costruttiva, i tempi certi di approvazione dei provvedimenti dell’esecutivo senza l’eccessivo ricorso ai decreti legge, riusciamo a garantire una sostanziale stabilità in modo da avere governi di legislatura con una dialettica politica”.
Sul fronte costituzionale, gli esperti di Pdl, Pd, Udc e Terzo Polo (Quagliariello, Violante, Adornato, Pisicchio) ieri ha dato il via libera al testo di riforma di nove articoli della Carta che poi sarà trasformato in un emendamento da presentare in Senato. Adesso si lavora ad una proposta di legge elettorale e un nuovo incontro è previsto già per la prossima settimana.
La volontà c’è, ma tutti sono consapevoli della difficoltà del percorso. Non solo per le fibrillazioni interne ai partiti, quanto piuttosto per i rischi di un ‘vietnam parlamentare’ con una doppia lettura tra Senato e Camera e con in mezzo l’incastro a cesello della legge elettorale. “Se tutto fila liscio completeremo le riforme entro la legislatura ma se c’è un solo inciampo, c’è il rischio concreto che salti tutto”, pronostica un esponente democrat. Come a dire: il diavolo si annida nei dettagli.