Sulla legge elettorale tra ‘meline’ e tatticismi il tempo è (quasi) scaduto
06 Settembre 2012
La riforma che tutti, a parole, vogliono è a un bivio. Una settimana per trovare la quadra politica su un testo base, poi si va al voto in Parlamento con quello che c’è. Schifani è stato chiarissimo quando in sostanza ha detto che non c’è altro tempo da perdere. E sarà proprio lui se lo stallo non verrà superato entro mercoledì prossimo, a proporre che sul nuovo modello di voto si pronunci direttamente l’Aula di Palazzo Madama. Confronto, dibattito, limature sì, ma alla fine si deve votare.
Una corsa contro il tempo? Solo apparentemente perché si tratta a oltranza nelle segreterie dei partiti e secondo i bene informati la soluzione finale sarebbe a portata di mano. I tavoli tecnici sono aperti e i contatti costanti per arrivare entro mercoledì prossimo – data della nuova riunione del comitato ristretto a Palazzo Madama finito con l’ennesimo rinvio due giorni fa – ad un accordo che ‘licenzi’ un testo base col quale arrivare in Parlamento. Altrimenti la strada è già segnata: voto a maggioranza sui testi che già ci sono.
Le ultime dai Palazzi della politica parlano di un riavvicinamento delle posizioni tra centrodestra e centrosinistra su un modello come quello tedesco, dopo l’impasse dei giorni scorsi e l’avvitamento su preferenze o collegi e sul premio di maggioranza al primo partito. Ma anche questo percorso che secondo molti esponenti di centrodestra potrebbe portare al miglior compromesso possibile, ha i suoi ostacoli. E non da poco, perché sia nel Pdl che nel Pd le posizioni non coincidono.
Se sul premio di maggioranza si intravede una via mediana tra il 15 per cento rilanciato dal Pd e il 10 proposto dal Pdl, il nodo vero restano le preferenze. A via dell’Umiltà sono considerate lo strumento più idoneo per ridare voce e rappresentanza ai cittadini nella scelta dei candidati al Parlamento, ma a guardar bene la posizione del partito non è poi così compatta: intanto tra gli ex forzisti restano forti perplessità e tra gli An Matteoli non la pensa come Gasparri o La Russa. Non solo: se il ragionamento che potrebbe favorire l’intesa politica tra partiti ruota attorno a un modello simil-tedesco, questo non prevede le preferenze: un dato che ha già fatto drizzare le antenne agli ex aennini che invece puntano molto sulla reintroduzione delle preferenze, arrivando perfino a minacciare – stando ai resoconti del vertice notturno a Palazzo Grazioli con Berlusconi – di andare alla conta in Aula, forti anche del fatto che pure Casini batte sullo stesso tasto. Con in più il fatto che l’Udc sarebbe tentato di portare il dossier direttamente in Parlamento per ‘stanare’ la melina del Pd. D’Alema sponsorizza il modello tedesco ma Prodi mette in guardia su un tema che sta lacerando il partito di Bersani: le primarie. Se si arrivasse a un modello del genere – è il ragionamento del Professore – si “annullerebbe di fatto il valore delle primarie”. Vaglielo a spiegare poi a Renzi e a quanti al di fuori della categoria dei ‘rottamatori’ non vedono di buon occhio il ritorno a un sistema da prima Repubblica.
I boatos di Palazzo dicono che la proposta allo studio prevederebbe una distribuzione dei seggi basata per il 33 per cento su collegi proporzionali; un 33 per cento ai migliori perdenti dei collegi e il 33 per cento attraverso liste bloccate. E ancora: un premio di maggioranza al partito e soglia di sbarramento al 5 per cento (8 per cento in tre regioni).
Come finirà la partita? E’ ancora presto per dirlo, lo si capirà nei prossimi giorni. Ma la cosa certa è che non c’è più tempo per prendere tempo.