Sulla Libia la Lega gioca una partita che può favorire tutto il centrodestra

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Sulla Libia la Lega gioca una partita che può favorire tutto il centrodestra

03 Maggio 2011

Caro Direttore,

da osservatore delle cose leghiste mi permetto di offrirle uno spunto di riflessione su questo momento della Lega aggiungendo la mia impressione al prezioso dibattito proposto dall’Occidentale. Questa volta la mia analisi è sensibilmente diversa e cercherò di seguito di spiegare il perché. Lei ha ragione nel tracciare le coordinate storico politiche  e di relazioni internazionali del nostro intervento in Libia e ancora meglio ne delinea la piena legittimazione nel solco dell’interesse nazionale. Ma non è esatto, secondo me,  pensare che le reticenze della Lega siano pretestuose ad un venire meno della volontà di alleanza nel governo Berlusconi e non sono nemmeno così sicuro che le criticità espresse in questi giorni siano dovute ad una disgregazione latente della "corporate governance" leghista.

Ho scritto sovente di Lega e non posso che ribadire un concetto chiave che mai come in questa occasione secondo me potrebbe leggersi come cartina di tornasole. La Lega delle origini nasce ed in seguito camminerà in tutto il suo sviluppo essenzialmente su due gambe. La prima prevalente è quella dell’autonomismo da un po’ di anni è declinata nell’attuale riforma del federalismo vero azimut della presenza leghista nell’esecutivo. L’altra gamba , si può essere d’accordo o meno, è quella strettamente legata a quella dell’immigrazione.

Così come il federalismo quello dell’immigrazione è stato da sempre un "payoff" dell’avanzata leghista che ha su questo tema esercitato un preciso mandato del proprio elettorato più fidelizzato. Non è casuale che Bossi abbia marcato la presenza del governo affidando ai suoi due colonnelli maggiorenti Maroni e Calderoli i due dicasteri corrispondenti alle due suddette gambe , le Riforme istituzionali a Calderoli e l’Interno, ovvero sicurezza interna e quindi gestione dei flussi migratori, a Roberto Maroni. Su questo la Lega ha segnato il terreno e stipulato un patto inalienabile, un vincolo primordiale, con il proprio popolo. Per questo la crisi libica e ciò che ne consegue, sono di queste ore gli ulteriori numerosi sbarchi di esuli libici sulle coste di Lampedusa e altri copiosi ne arriveranno, rappresentano una lacerazione profonda e quanto mai reale nel “corpo” leghista. Quasi un tradimento del patto. E non deve stupire che pur di salvare il patto sia stato in più riprese proprio Roberto Maroni a rivendicare la posizione leghista intransigente anche rispetto alle decisioni provenienti da Palazzo Chigi. 

Si potrebbe obiettare che l’arroccamento a difesa di quel patto allo stesso modo significherebbe il tradimento di un ben più importante patto, quello di governo che tutela l’intera nazione. Ma è una ragionamento in questo case fallace "ab origine" giacché la Lega non è un attore politico tradizionale il cui interesse primario è il governo del Paese ma diversamente nel dna della Lega la presenza nel Governo è strumentale e finalizzata agli obiettivi che ne legittimano l’esistenza stessa come sindacato di territorio ovvero come già scritto e ribadito: federalismo e sicurezza. Ma da questa tesi traggo spunto per arrivare ad un secondo fondamentale corollario, ossia quello che la Lega e Bossi malgrado il suo malcontento sia reale, per certi versi giustificato perché pragmaticamente inteso, non arriverà a strappare il filo che la tiene unita al governo Berlusconi , almeno finché questo filo si chiamerà federalismo, vero bisogno primario e il quale compimento sembra ora più che mai in via di realizzazione. 

Tuttavia non è da stupirsi che sino alle prossime elezioni amministrative questa continua differenziazione continuerà quantomeno per non subire e bilanciare dal punto di vista del messaggio  i contraccolpi dell’oggettiva difficoltà che i flussi di immigrazione a cui siamo sottoposti con l’intervento in Libia costringono i vertici leghisti a rapportarsi con il proprio elettorato storico. Si tratta indubbiamente di una fase di "coesistenza competitiva" e questa stessa coesistenza competitiva si potrà rivelare addirittura un valore aggiunto per ambedue i fronti della maggioranza nella misura in cui maggiore polarizzazione e radicalizzazione si avvertirà , maggiore propensione al voto di appartenenza si potrà ottenere e quindi maggiore "tesoretto" di consenso avrà la coalizione nelle disfide amministrative in palio.

Se non fosse stato così, ovvero, se la Lega in un frangente come questo si fosse pedissequamente allineata alla posizione di responsabilità di governo e di tutela dell’interesse nazionale scontentando e allontanando il proprio elettorato, la propria pancia, allora il corto circuito di un cattivo risultato nelle amministrative ed a Milano in particolare avrebbe davvero potuto provocare un duro riposizionamento e probabilmente come reazione a breve termine sarebbe anche scattato il "piano b" per salvare il federalismo. La fine dell’alleanza con Berlusconi e la disponibilità ad un governissmo guidato da Tremonti. Ma oggi, come dimostra la quadratura ottenuta con l’apprezzamento di Berlusconi sulla mozione leghista questo rimane ancora uno spettro in un armadio oltreché un piacevole auspicio delle opposizioni.