Sulla manovra i giallorossi se le danno di santa ragione. Governo già al capolinea?
19 Ottobre 2019
“Un ultimatum al giorno toglie il governo di torno”. Questo laconico tweet di Dario Franceschini, arrivato nel tardo pomeriggio di ieri, ha rappresentato il culmine di una giornata segnata da tensioni e comunicati all’interno della maggioranza giallo – rossa. Le diversità di vedute sui provvedimenti da inserire all’interno della manovra finanziaria stanno logorando molto più del previsto la stabilità del Governo, dato che sembrano essersi creati ormai due fronti ben distinti: da un lato quello guidato da Di Maio e Renzi, assolutamente contrario all’aumento di qualsiasi imposta e deciso a percorrere qualunque strada pur di giungere a questo risultato; dall’altro quello guidato dal Premier Conte e i ministri del PD – Franceschini in testa – che non avrebbero mal digerito una rimodulazione (con aumento) delle aliquote IVA su alcuni prodotti, consentendo così al titolare dell’Economia Gualtieri di recuperare 7/8 miliardi da destinare al taglio del cuneo fiscale.
Passata su questo tema la linea Renzi – Di Maio, lo scontro si è spostato su altri argomenti tra cui l’entità della soglia da porre ai pagamenti in contanti e la revisione di “quota 100”. Ben presto però si era capito come ogni anima della maggioranza aspirasse a portare a casa un provvedimento “bandiera”, in maniera tale da poterlo rivendicare verso la propria base elettorale alla vigilia di una serie di consultazioni regionali di fondamentale importanza. Sensazione confermata ieri dalla richiesta dei 5 Stelle e di Italia Viva di dar vita ad un nuovo vertice per cambiare sostanzialmente il volto della Manovra.
Ma oltre a questo, c’è una vera e propria sfida di carattere politico: come avevamo già scritto qui, Matteo Renzi ha deciso di tornare pesantemente in campo e di farsi legittimare come unico vero antagonista di Salvini (non a caso ha premuto fino all’ultimo per far svolgere il confronto televisivo tra i due di qualche giorno fa) e, questo obiettivo, non può non passare da una continua azione di logoramento ai danni del Primo Ministro Conte che, dal canto suo, sta invece lavorando per ergersi a federatore delle varie anime del centrosinistra. Nel mezzo, troviamo un Luigi Di Maio in palese difficoltà nel farsi riconoscere ancora quale leader dei pentastellati e che, proprio per questo, sta costruendo un asse del tutto irrituale proprio con Renzi.
Lo scontro sarebbe arrivato ad un livello tale che sia il segretario Dem Zingaretti che Conte avrebbero già fatto sapere di non essere disponibili a continuare a percorrere questa strada così incidentata, minacciando il ritiro della delegazione dei ministri PD dall’esecutivo che determinerebbe un quasi automatico ritorno alle urne (annullando così, tra l’altro, il taglio del numero dei parlamentari votato in via definitiva pochi giorni fa). Ma Renzi avrebbe risposto di essere sicuro che non ci sarebbe nel gruppo dei parlamentari del PD tutta questa voglia di tornare prematuramente a casa, anzi: pur di restare a galla, sarebbero disposti a votare la fiducia ad un governo presieduto dal capo politico della forza di maggioranza relativa in Parlamento, vale a dire Luigi Di Maio…