Sulla mosceha di Ground Zero spunta una stella di Davide
15 Ottobre 2010
È la costruzione che da mesi divide New York e che ha fatto scoppiare un acceso dibattito nazionale su cosa significhi essere “Americani”. Parliamo ancora una volta della progettazione della moschea vicino a Ground Zero, a due isolati di distanza da dove un tempo si ergeva il World Trade Center, prima che la mano nera del terrorismo lo rendesse cenere.
Se fino a qualche settimana fa l’opinione pubblica era spaccata sul significato da attribuire all’edificazione di un simbolo, quello dell’Islam, proprio lì dove il fondamentalismo ha aperto una ferita che gli americani difficilmente riusciranno a rimarginare, un’altra scintilla ha esacerbato ulteriormente la controversia. Il curatore del progetto, l’imprenditore musulmano Sharif El-Gamal, ha anticipato alcune bozze dell’edificio che si presenta nel prospetto esterno come un favo. Ma ciò che ha sollevato nuove polemiche è il fatto che questa facciata a nido d’ape lascia scorgere alcune forme, in particolare la Stella di Davide, anche conosciuta come sigillo di Salomone, che insieme alla Menorah rappresenta la civiltà e la religiosità ebraica.
Sulla bozza del discusso progetto sono stati poi rintracciati altri elementi sospetti: la presenza, sempre sulla facciata, di motivi a forma pentagonale; la sagoma stessa del palazzo, che con una lieve incrinatura ad angolo, visibile nella sua parte alta, dà l’impressione che quelle che vediamo siano due costruzioni vicine e perfettamente uguali; ancora, i giochi di luce e ombra creati grazie alla conformazione dell’edificio che al buio darebbero l’effetto di fumo. Il tutto, insomma, rimanderebbe simbolicamente e in modo sinistro agli attentati dell’11 settembre 2001. Una casualità, suggestioni da intolleranza religiosa o messaggi subliminali? Difficile dirlo.
Intanto, i collaboratori di El-Gamal si sono affrettati a chiarire, tramite i loro account di Twitter, che il progetto vuole sposare elementi dell’architettura islamica e newyorkese, precisando che l’esagramma è un simbolo carico di significato tanto nell’Islam quanto nel Cristianesimo e nell’Ebraismo, e che quindi l’edificio, così concepito, rappresenterebbe un punto d’incontro tra le varie fedi religiose.
Il Park51 — questo il nome del centro, ex Cordoba House — prenderà il posto di un’azienda di vestiti danneggiata l’11 settembre, e potrà contenere tra le mille e le duemila persone. Avrà sedici piani e la sua area più grande sarà destinata a centri sportivi come palestre e piscine. Gli altri piani saranno occupati da un centro per bambini, ristoranti, studi artistici, spazi espositivi, sale per eventi culturali e, ovviamente, da un luogo di preghiera. Il dodicesimo piano ospiterà un memorial dell’11 settembre e un santuario aperto ai popoli di tutte le fedi. Nonostante El-Gamal parli continui a sostenere l’infondatezza delle critiche, frutto di una campagna “di inganni e falsità”, una fetta considerevole dell’opinione pubblica americana continua a interpretare la costruzione come un esercizio di trionfalismo e una provocazione, ancor più adesso, che hanno avuto un saggio grafico di quello che sarà il luogo di culto.
Il curatore del progetto non si dà tuttavia per vinto e si dice ottimista nel portare avanti la sfida per convincere i newyorkesi che si tratta di un mero centro ricreativo pronto a ospitare 2,000 persone. Lo farà dando voce anche ai parenti delle vittime degli attentati, per i quale, pare, il progetto complessivo prevede l’organizzazione di meeting periodici (anche questo, oggetto di feroci critiche da parte degli abitanti della Grande Mela). Il progetto è insomma stato definito nero su bianco, ma le polemiche non accennano a placarsi.