Sulla questione idrica dal centrosinistra propaganda e clientelismo

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Sulla questione idrica dal centrosinistra propaganda e clientelismo

10 Febbraio 2011

di T. F.

Quando Vendola vinse le elezioni del 2005 l’Acquedotto pugliese, il più grande d’Europa, retaggio straordinario dell’unità d’Italia, era stato da poco restituito ai cittadini della Puglia dal governo Berlusconi, dopo che quello di Massimo D’Alema lo aveva loro scippato non senza qualche sospetto di mire affaristiche.

Era stato affidato, infatti, per la prima volta nella sua storia, alla guida di un prestigioso manager pugliese, Francesco Divella. Era stato risanato nei conti e dotato, tra fondi comunitari della Regione e fondi statuali, della modica cifra di un miliardo e trecento milioni di euro di finanziamenti, per investimenti che avrebbero risolto per sempre i problemi di approvvigionamento idrico di una Regione che già Orazio definiva "sitibonda", cominciando con la riduzione drastica di perdite che raggiungevano anche il 50%: investimenti che, previa acquisizione sui mercati dei fondi di co-finanziamento, erano anche stati già concretamente avviati. Tutto questo nell’arco di una sola legislatura, quella del governo Fitto, essendone stata la precedente di centrodestra inibita dal suddetto scippo.

Con l’elezione di Vendola alla presidenza della Regione, nel 2005, il primo atto dell’AQP fu un’infornata di assunzioni clientelari, tra le quali – è tutto documentato – non mancarono né figli né amanti eccellenti. Il secondo fu poi la nomina, in luogo del manager pugliese, di una triade di importazione (ma comunque di origine politica controllata) presieduta dal noto filosofo svizzero-spezzino Riccardo Petrella, che ne fece la dorata tribuna da cui lanciare i suoi attacchi contro fantomatiche privatizzazioni, prima di andarsene sbattendo la porta quando si accorse che il suo mentore Nichi era in tutt’altre faccende affaccendato. A sostituirlo fu chiamato un altro "importato" politicamente corretto, Ivo Monteforte, con una discreta esperienza accumulata alla guida della Multiservizi di Pesaro e acclarate competenze in materia di servizi cimiteriali, che si presentò immediatamente per avere “internalizzato” di testa sua i servizi di depurazione, alias per avere caricato l’Ente di ulteriori 400 dipendenti, nonché per i suoi sontuosi auto-trattamenti (360mila euro annui più benefits vari) e svariate denunce di comportamenti anti-sindacali.

Continuavano a latitare invece gli investimenti, ad onta del miliardo e 300 milioni disponibili ma a scadenza, di cui infatti si persero per primi i 173 milioni destinati ad impianti di dissalazione, mentre sul terreno delle perdite, alla verifica presso lo stesso Ente della sparata elettorale di Vendola per la quale si sarebbe verificata una riduzione del 20%, si accertò che essa in realtà non superava il 3%.

Intanto, la città di Taranto dovette restare senz’acqua per un’intera settimana di luglio, con le immagini post-belliche delle vecchiette, in coda con i secchi dietro le autobotti, che fecero il giro del mondo. Analoga sorte toccò al Gargano nella settimana di ferragosto. Ad oggi, non si è ancora capito come e perché.

In compenso, è stata portata avanti un’assordante propaganda sull’acqua “pubblica e gratuita”, bandiera vendoliana in campagna elettorale. Peccato che intanto la tariffa a carico dei cittadini – a seguito di quello che si potrebbe definire un ricatto del sullodato manager pesarese tanto caro a Nichi – fosse aumentata del 10% in soli due anni cui si è aggiunto, a partire dall’1 gennaio scorso, un ulteriore 17,5% a fronte delle riduzioni di altre Regioni. Per pretesto, si è parlato della solita necessità di investimenti: peccato che per essa fosse disponibile e intonso, da anni, il miliardo di cui sopra, di cui nel frattempo si erano perse le tracce, forse perché restituito in gran parte e alla chetichella all’Unione europea per mancato utilizzo.

Come se non bastasse, in questi giorni è stata all’esame del Consiglio regionale la proposta di un nuovo Ente idrico, che non si sostituirebbe ma si aggiungerebbe all’AQP, di fatto sostituendo surrettiziamente l’ATO (Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale per la Gestione del Servizio Idrico Integrato, ndr), giustamente abrogato per legge, con annesse poltrone e poltroncine per sottoboschi partitici. Forse per non smentire l’antica regola individuata da Salvemini, per la quale l’acqua in Puglia non si beve, ma si mangia.