Sulla responsabilità civile il Parlamento non si lasci condizionare dal Csm
16 Marzo 2012
Con un parere approvato mercoledì scorso, il Consiglio superiore della magistratura ha bocciato, a maggioranza dei suoi membri, l’emendamento Pini (Lega Nord) alla legge comunitaria sulla responsabilità civile dei magistrati. Si legge in alcuni stralci del parere del Csm quanto segue: “La responsabilità civile pone seriamente a rischio l’indipendenza della magistratura riconosciuta e garantita dalla nostra Costituzione”. E ancora, l’imposizione di tale istituto “renderebbe il sistema giudiziario ingestibile per la possibilità di un intreccio paradossale tra l’esercizio della funzione giudiziaria e la difesa personale del giudice chiamato a rispondere in prima persona per un’azione risarcitoria nei suoi confronti”.
Furono i Radicali, sull’onda del caso Tortora, ad indire nel 1987 un referendum per introdurre nell’ordinamento italiano la responsabilità civile delle toghe. A larghissima maggioranza trionfarono i sì. Ma il legislatore, un anno dopo la vittoria referendaria, ne stravolse i risultati. Infatti, la legge 117 del 1988 (anche detta legge Vassalli) restringe il campo d’applicazione della responsabilità ai soli casi di “dolo, colpa grave e diniego di giustizia”. L’azione di risarcimento, inoltre, viene esercitata contro lo Stato, (nel caso di specie, nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri) e solo a condizione che “siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione”. Lo Stato ha comunque diritto di esercitare la rivalsa nei confronti del magistrato.
I numeri a disposizione dimostrano inequivocabilmente il fallimento dell’impianto normativo previsto dalla legge Vassalli. Sul Corriere della Sera del 3 febbraio scorso, è Maria Antonietta Calabrò a ricordarci che dal 1988 – data di entrata in vigore della legge – ad oggi, le cause effettivamente avviate dai cittadini nei confronti dello Stato sono state appena 406. Le citazioni ammissibili sono state 34, le condanne appena 4.
Il dibattito politico (e giuridico, ça va sans dire) in materia ferve da decenni. Da un lato, un pezzo di politica favorevole a una modifica dello status quo, dall’altra i magistrati, il Csm e l’Associazione nazionale magistrati – il sindacato delle toghe – da sempre contrari a qualsiasi riforma che possa andare verso “ il restringimento dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”.
Ad una modifica dell’impianto della 117, ad una riforma più in linea con l’esito referendario dell’’87 si è finalmente arrivati il mese scorso. Era il 2 Febbraio e alla Camera si discuteva di legge comunitaria. Spunta un emendamento del deputato leghista Gianluca Pini, che introduce nel nostro ordinamento la “responsabilità civile dei giudici”. Complice il voto segreto, l’emendamento passa grazie ai voti sicuri di Pdl, Lega, Radicali e di alcuni franchi tiratori di Pd e Terzo Polo.
“Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento” di un magistrato “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o per diniego di giustizia, può rivalersi facendo causa sia allo Stato che al magistrato per ottenere un risarcimento”. Sono queste le novità più rilevanti rispetto alla formulazione originaria: responsabilità estesa alla “manifesta violazione del diritto” in aggiunta alle fattispecie di dolo, colpa grave e diniego di giustizia e citazione diretta in giudizio del magistrato.
L’emendamento Pini ora dovrà passare al Senato. Tra le forze politiche parrebbe prefigurarsi un accordo al ribasso: ritorno alla responsabilità indiretta e casistica sui possibili errori dei giudici. Sarà il Pd a premere per un compromesso di questo genere, considerata la sua storica attenzione agli interessi delle toghe.
Il Parlamento non dovrà in alcun modo sottostare alle pressioni del Csm. Lasciarsi intimorire comporterebbe un’evidente forzatura del nostro impianto costituzionale, nonché la messa in discussione dei principi basilari della democrazia parlamentare. E’ assurdo sostenere che l’emendamento Pini possa rappresentare una forma di ingerenza della politica nella sfera di autonomia della magistratura. Le perorazioni del Csm rappresentano una pervicace difesa dello status quo, ma il Parlamento è sovrano e ha tutto il diritto (e forse anche il dovere) di legiferare in materia di giustizia e di responsabilità civile dei magistrati.