Sulla riforma del lavoro pesano l’arroganza di Bersani e il parassitismo di Casini

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Sulla riforma del lavoro pesano l’arroganza di Bersani e il parassitismo di Casini

30 Aprile 2012

Per tutto il tempo della gestazione governativa della riforma del lavoro il Pd ha macinato mugugni e minacce. E un giorno Bersani se ne usciva dicendo: "Se il governo procede senza l’accordo con le parti sociali, potremmo non votare la la legge", costringendo Monti e Fornero a tornare mille volte sui loro passi e inchiodando il governo a un defatigante surplus di concertazione. Il giorno dopo, il Pd tornava sul piede di guerra contro la nuova formulazione dell’articolo 18. Incalzato dai sindacati, a cui aveva nel frattempo delegato l’intera gestione politica della vicenda, Bersani si è messo di traverso sul punto centrale della riforma quello che escludeva la possibilità di reintegro per cause economiche. Anche su questo sono passate settimane di ultimatum e di roboanti dichiarazioni di guerra.Vi ricordate i proclami stentorei: "Non vinceremo sulle macerie", o "Non monetizzo il lavoro"…? Bersani ha cosi incoraggiato manifestazioni e scioperi e nello stesso tempo tampinato il presidente della Repubblica affinché costringesse Monti alle modifiche richieste.

Attraverso questa fase la riforma è deperita, smagrita, e come si è visto subito dopo, apparsa molto meno convincente agli occhi dei mercati e delle istituzioni europee alla cui attenzione era destinata.

Il Pd ha giocato fuori dalle regole, prima ancora che il testo della riforma fosse varato dal governo, usando spregiudicatamente la sponda sindacale e quella istituzionale del Colle per placare il suo elettorato in subbuglio.

Ora che la legge ha iniziato il suo corso in Parlamento è il Pdl, che in sede di commissione, sta avanzando delle proposte di modifica, e finalmente con una certa decisione di intenti e di toni. Alfano ha chiesto al partito di lavorare su emendamenti che tengano conto delle necessità degli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, che sono quelli a cui in definitiva viene richiesto di assumere.

Cosí dal Pd è partito un coro di protesta e di pretesa indignazione contro "gli ultimatum del Pdl" abbastanza spudorato. Adesso che la riforma ha piú o meno assunto le forme che aggradano a Bersani essa è divenuta intoccabile e ogni emendamento diviene lesa maestà. Gli ultimatum del Pd sono derubricati a utili contributi al dibattito, mentre le proposte parlamentari del Pdl diventano pericolosi attentati alla stabilità del governo e alla tenuta del paese. Anna Finocchiaro è stata ineffabile: "in questo momento non servono minacce o ultimatum. Quelle del Pdl sono battaglie tattiche, sbagliate su una riforma cosí importante sulla quale è concentrata l’attenzione delle famiglie". Solo le minacce del Pd hanno respiro strategico, arrivano al momento opportuno e vanno incontro alle preoccupazioni delle famiglie. Per sommo del ridicolo tutto questo accade mentre la CGIL mantiene il punto sullo sciopero generale contro la riforma e il Pd fa il pesce in barile.

Ma, occorre aggiungere, l’atteggiamento più irritante, irresponsabile e parassitario è come sempre quello che si ritaglia l’Udc. "Sono giusti gli emendamenti per rendere più facili le assunzioni – ha detto candidamente Casini – ma quella del Pdl sul lavoro è una tempesta in un bicchier d’acqua e non è una cosa seria". Anche qui è solo e sempre Casini che ha l’appannaggio delle cose serie anche se non si capisce mai quali siano. Durante le tempeste scatenate da sindacati e Pd se n’è stato prudentemente acquattato in coperta, facendo al massimo trapelare qualche malessere. Ora che il peggio è passato, rimette i panni da lupo di mare e indica la rotta.

Certe volte si ha  l’impressione che la vera antipolitica sia proprio questo equilibrismo sul nulla, questo comodo lucrare sulle responsabilità altrui, di cui Casini e il suo partito sono da troppo tempo maestri.