Sulla Sanitopoli Vendola non può essere garantista solo per se stesso
01 Marzo 2011
L’idea che la Giustizia possa essere asservita a una fazione politica è già notizia che desterebbe inquietudine in chi pensa che il primo valore della democrazia sia quello, per lo Stato e per le sue articolazioni, di un modo indistinto di elargire diritti e di richiedere doveri ai cittadini. Abbiamo la sensazione di trovarci invece in un Paese in cui accadono cose strane.
Ci sono pericolosi mafiosi che vengono scarcerati perché ci si dimentica di depositare le motivazioni delle sentenze, assassini assolti pur con la consapevolezza dei loro delitti, teppisti che assaltano le forze dell’ordine e devastano interi quartieri ma che una volta fermati, vengono subito rimessi in libertà. Ci sono indagini e intercettazioni telefoniche su traffici internazionali e su spaccio di droga sospese per mancanza di uomini e risorse da una parte di quella magistratura che per un anno non ha risparmiato un euro per seguire, indagare, intercettare chi varcava le soglie delle residenze private, ad Arcore o altrove, del premier Berlusconi.
Certe procure, insomma, da Napoli a Milano, da Palermo a Trani mostrano un accanimento persecutorio senza precedenti nella storia della Repubblica nei confronti di un solo uomo che poi – particolare non irrilevante – è colui che la maggioranza degli italiani hanno democraticamente scelto col voto per governare. Per la Giustizia ogni caso è a se stante. Un garantista non dovrebbe mai chiedere l’applicazione di valutazioni massive, ma spingere perché siano percepiti ed interpretati, caso per caso, i pesi, le implicanze, le responsabilità, la volontà e la natura dei crimini.
Perché sia esercitata in nome e per conto del popolo, gli operatori della Giustizia dovrebbero assicurare alcuni principi di trasparenza e di legalità. In democrazia il popolo deve pretendere che le imputazioni siano chiare che le ipotesi di reato non siano formulate su teoremi ideologici o che risentano di inimicizie personali o di diversi sentimenti politici, ovvero che non vi siano atti di benevolenza per comunanza o affinità di pensiero.
Se, ad esempio, prendessimo in considerazione i due casi recenti che hanno interessato i protagonisti di due contrapposte fazioni politiche, si potrebbero rilevare almeno due contraddizioni. Una riguarda la mancanza di una trasparente azione giudiziaria, con regole uguali che valgano sempre e per tutti. L’altra l’azione dell’informazione e degli approfondimenti mediatici.
Si è avuta l’impressione d’essere dinanzi a due casi in cui i teoremi ideologici e l’inimicizia per un caso e, di contro, la comunanza e l’affinità di pensiero per l’altra, emergono. La Giustizia, invece, non può che avere una stessa bilancia. “Spero che si possa creare un clima diverso, non strumentale – è scritto in un’intervista del senatore Gaetano Quagliariello, vicepresidente del Gruppo Pdl a Palazzo Madama -. Non è possibile che il ruolo della politica sia rispettato solo per la coscienza di alcuni magistrati: serve un sistema di regole che valga per tutti”.
Certo, che se a Milano l’ipotesi di concussione è applicata senza un concusso, e a Bari per le pressioni sulle nomine non è ipotizzato un reato di concussione, potremmo consumare le lettere della tastiera senza uscire da questo pantano. La sanità pugliese è stata ridotta a un campo di battaglia per la conquista del voto. Controllo del territorio finalizzato al rafforzamento di partiti e fazioni, scrive il magistrato che ha chiesto l’arresto del senatore Tedesco, mentre l’altro magistrato, invece, archiviava la ‘pratica’ Vendola. Intorno alla sanità pugliese si sono giocate partite e interessi diversi, fino ad ipotizzare che di per se l’assessorato alla Sanità costituisse un sottosistema per la gestione del potere. Un presidente di Regione chiede al proprio assessore di modificare la legge per favorire la nomina di un suo segnalato (stando al contenuto delle intercettazioni) ed è tutto normale, mentre in una vicina procura, quella pugliese di Trani, si voleva imputare il reato di concussione a Berlusconi per un suo sfogo telefonico a proposito di Annozero e di Michele Santoro.
In questa vicenda pugliese, l’unica cosa apprezzabile è che non sia stata sceneggiata una fiction televisiva, come è accaduto invece sul Rubygate ad Annozero. E che dire dei due pesi e delle due misure usati anche dal mondo dell’informazione?
La democrazia, intanto, muore dinanzi all’incapacità di avere un equanime e serio sistema di regole. C’è il rischio che il popolo veda la magistratura come uno strumento politico e, se ne comprende l’orrore, ne rimanga interdetto e finisca per non credere più nella Giustizia e nella legalità. Per questo il senatore Quagliariello ha ragione quando rimarca la necessità di un “sistema di regole che valga per tutti”.