“Sulla sicurezza serve il modello Caserta. L’attentato di Brindisi diventi priorità nazionale”

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

“Sulla sicurezza serve il modello Caserta. L’attentato di Brindisi diventi priorità nazionale”

“Sulla sicurezza serve il modello Caserta. L’attentato di Brindisi diventi priorità nazionale”

22 Maggio 2012

Brindisi come Caserta. Non è, né può restare, un problema locale ma deve diventare una priorità nazionale. Come accaduto quattro anni fa nel feudo dei Casalesi dove il governo mise in campo uno schema operativo che ha dato risultati importanti al punto da essere applicato ad altre emergenze e ad altre realtà, compresa la Puglia. Di quello schema da sei mesi a questa parte, si sono perse le tracce. Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all’Interno, magistrato e parlamentare Pdl, ne è stato uno degli artefici e oggi ne rivendica l’urgenza. Anche perché è un modello “che non appartiene a uno schieramento politico, ma alla comunità e alle istituzioni”.

Onorevole Mantovano, chi e perché?

Rispondere adesso con gli accertamenti in corso sarebbe fuori luogo. E’ come immaginare la diagnosi senza aver fatto gli esami cinici. Non funziona così.

Lei è magistrato e si può comprendere la ‘deformazione professionale’. Ma si sarà pur fatto un’idea sulla tragedia di Brindisi.

Non è questione di deformazione professionale o di reticenza dietro le formule di circostanza. Se per ciascuna delle ipotesi avanzate prendiamo un foglio bianco e tiriamo una riga in mezzo, ci sono elementi a favore e contro. A cominciare dalla pista mafiosa. Opportunamente, sia da parte dei ministri dell’Interno e della Giustizia che sono andati a Brindisi, sia da parte di chi svolge le indagini, si resta su una condizione di sospensione in attesa dei riscontri investigativi.

Proviamo a ragionare con quello che c’è già. Il procuratore antimafia Grasso anche ieri ha parlato di azione terroristica.

Anche la strage di Capaci o quella di via D’Amelio hanno avuto connotazioni terroristiche se per terrorismo s’intende la strategia del terrore. Questo Grasso l’ha ben chiarito. Di tutte le ipotesi in campo, quella meno probabile se non da escludere, è la pista eversiva se per terrorismo si intendono Br o Fai, nel senso che non c’è nulla che porti in questa direzione. Terrorismo significa diffondere il terrore; peraltro questa qualificazione è stata avanzata dal procuratore Grasso al termine della riunione tra il procuratore distrettuale antimafia di Lecce e il procuratore di Brindisi ed è funzionale al riconoscimento della competenza ad indagare di Lecce.

In queste ore c’è una persona identificata sospettata di aver azionato ol comando a distanza dell’ordigno esploso davanti alla scuola. Si può considerare il gesto di un singolo o potrebbe trattarsi di un atto etero-diretto?

Non si può dire adesso, attendiamo gli accertamenti.

Parliamo allora delle ipotesi in campo. Su quella mafiosa della Sacra Corona Unita qual è la sua valutazione?

A favore di questa ipotesi vi sono le cose già dette nell’immediatezza dell’attentato: la scuola intitolata a Francesca Morvillo-Falcone, il ventennale dell’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il dato che l’attentato avvenga dopo un’importante operazione investigativa concentrata su Mesagne. Contro questa ipotesi, invece, c’è il fatto che la criminalità mafiosa e mi riferisco a quella del territorio, ha facilità a reperire esplosivo e non ha bisogno di mettersi a confezionarlo come per Brindisi. C’è un’altra obiezione che fa breccia contro la pista mafiosa.

Quale?

Trent’anni fa nella zona di Mesagne Pino Rogoli costituì la Sacra Corona Unita; oggi soggetti condannati 25 anni fa stanno uscendo dal carcere dopo aver espiato la pena e a loro si collegano nuove leve: non a caso negli ultimi tempi c’è stata una ripresa dell’attività criminale. Accanto a questo nuovo impulso c’è il fatto che la mafia cerca il consenso sociale che passa, ad esempio, anche attraverso i contributi a fondo perduto dati a soggetti o a famiglie bisognose per garantirsi una copertura, magari per coprire una latitanza. Quando si compie una strage del genere questo lavoro di ricerca del consenso si annulla in un attimo e dunque sarebbe controproducente per gli obiettivi dei mafiosi.

Ma il fatto che vengano colpiti adolescenti che segnale è?

Sempre continuando a ragionare prescindendo dall’esistenza di elementi di fatto, viene da dire che in altre circostanze e in altri territori – penso alla Sicilia o alla Calabria – sono stati colpiti bambini e adolescenti anche se non davanti a una scuola e con altre modalità. Ciò è avvenuto quando si aveva a che fare con collaboratori di giustizia e in quel caso si è cercata la via più efferata in assoluto. Può essere il caso della strage di Brindisi? Metto un punto interrogativo anche se, sarà una coincidenza, l’autobus delle ragazze proveniva da Mesagne e a Mesagne in questo momento ci sono delle collaborazioni con la giustizia.

In Puglia esistono precedenti di attentati dove la criminalità ha mirato al gesto eclatante, colpendo nel mucchio, senza obiettivi precisi?

Il 5 gennaio ’92 durante l’attività della prima generazione della Sacra Corona Unita, fu piazzato un ordigno di potenziale importante sui binari della ferrovia nella zona del comune di Surbo. Avrebbe dovuto esplodere al passaggio del treno Lecce-Milano: solo per un miracolo non avvenne.

Lei ha studiato a lungo i fenomeni mafiosi. Nella tipologia della criminalità organizzata che tipo di mafia è la Sacra Corona Unita? E qual è il contesto attuale?

Intanto si tratta di una realtà meno pericolosa rispetto a Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. E’ nata 30 anni fa ad opera di criminali del posto che anziché fare da gregari a ‘ndranghetisti’ boss siciliani o camorristi, hanno deciso di mettersi in proprio. La Sacra Corona Unita nella sua strutturazione che era centralistica e ramificata, aveva una sua gerarchia che è durata non più di quindici anni perché vi è stata una durissima reazione delle forze di polizia e della magistratura che ha portato alla sua disarticolazione.

 E oggi?

Quelli della prima ora, già processati e condannati, uno dopo l’altro stanno uscendo dal carcere usufruendo dei benefici dell’ordinamento penitenziario. Anche di fronte a ergastoli, capita che dopo 25 anni di pena si torni in libertà se c’è – come in qualche caso – una generosa interpretazione dei benefici da parte della magistratura di sorveglianza. Ai ‘vecchi’ mafiosi si affiancano le nuove leve ma rispetto al passato non esiste più una struttura verticistica e ramificata, piuttosto vi sono bande territoriali che si muovono in aree circoscritte rispettandone i perimetri. Diversamente dal passato, oggi si cerca di evitare il gesto efferato che provoca reazione immediata nell’opinione pubblica e dunque è controproducente per l’organizzazione criminale. In altre parole, si cerca di muoversi sottotraccia e si è più interessati alla penetrazione sul fronte economico.

Da magistrato e da ex sottosegretario all’Interno che impressione le hanno fatto le immagini di Brindisi?

Aggiungo anche da padre: l’ultima dei miei figli ha la stessa età di Veronica Capodieci, la ragazza che sta lottando contro la morte. Sono andato davanti alla scuola per rendermi conto di ciò che era successo e che pure adesso faccio fatica a descrivere.

Cosa l’ha colpita di più?

Nella perversa logica criminale c’è lo sbirro, il magistrato da colpire o il nemico dell’altra banda da eliminare; non una ragazza di sedici anni o un gruppo di ragazze e con una crudeltà diabolica. Non so usare un termine più adeguato perché solo evocando il demonio si ha la dimensione della malvagità del gesto. Condivido l’analisi di Giuliano Ferrara che su Foglio ha scritto della caccia agli angeli da parte dei demoni. Quanto successo non è stato per caso: si è atteso l’arrivo di un autobus di studentesse, si è atteso che scendessero e passassero vicino al cassonetto dietro al quale era posizionato l’ordigno, si è azionato un comando a distanza.

Lei esclude la pista anarco-insurrezionalista ma in Puglia, specie nel Leccese sono attive alcune cellule; Brindisi è il porto più vicino alla Grecia e dopo l’attentato di Genova in molti hanno ipotizzato un collegamento. Cosa risponde?

E’ necessario leggere le cose partendo dai dati obiettivi. E’ vero che a Lecce esiste un gruppo di anarco-insurrezionalisti ma nel panorama nazionale erano attivi in passato. Il fenomeno è stato ridimensionato grazie a una durissima risposta giudiziaria che un paio di anni fa ha portato a una condanna in Appello per associazione eversiva. Non è l’unico elemento: l’area anarco-insurrezionale annuncia quali sono i suoi obiettivi, come accaduto prima e dopo Genova. Inoltre ha interesse a coagulare attorno a sé il consenso, ancora di più della mafia.

Come legge la querelle tra il procuratore capo di Brindisi e quello di Napoli sulle piste investigative?

In questa tragedia e ancora prima che accadesse c’è un fatto da registrare: la compattezza politica del territorio, nel senso che nessuno dei parlamentari pugliesi o degli esponenti istituzionali locali ha mai utilizzato il tema della sicurezza come materia di divisione, tantomeno di campagna elettorale. Lo scorso 8 maggio io e un gruppo di parlamentari pugliesi di Pdl, Pd, Idv, Udc, Mpa insieme al presidente della Provincia di Brindisi siamo andati dal ministro dell’Interno per rappresentare la nostra preoccupazione sulla ripresa della criminalità mafiosa nella realtà brindisina e in particolare a Mesagne. In un momento in cui sembra che la politica dia il peggio di se stessa, credo che sia meglio sottolineare questo aspetto piuttosto che una distinzione emersa da altre parti.

Come valuta la risposta del ministro dell’Interno?

Occorre rendersi conto di una cosa: quattro anni fa, nella provincia di Caserta c’è stata una svolta nel momento in cui il governo – prima ancora dell’invio di più uomini delle forze dell’ordine – ha deciso di qualificare ciò che accadeva a Gomorra non come problema della provincia di Caserta bensì come problema nazionale. Va benissimo potenziare la presenza delle forze dell’ordine per dare risposte alla domanda sul ‘chi’ e ‘perché’ dalla quale siamo partiti, ma a me interessa l’ordinaria amministrazione che può diventare straordinaria come necessario, se la sicurezza in Puglia diventa priorità della sicurezza nazionale.

Che significa priorità nazionale?

Restando sempre al modello Caserta, significa applicare lo stesso schema operativo: una presenza periodica sul territorio che faccia costantemente il punto della situazione, individui gli obiettivi, i mezzi e la tempistica per raggiungerli. Si tratta di un modello sperimentato non solo a Caserta ma anche per l’area garganica, per la provincia di Bari e Brindisi un anno e mezzo fa quando vi fu una situazione di emergenza. Non vale il riflesso condizionato per cui di fronte a una situazione straordinaria si mandano più uomini o si dice che c’è bisogno di costruire più commissariati: occorre un uso più razionale delle risorse in campo, fissando delle priorità.

Che fine ha fatto, oggi, il modello Caserta?

Poiché sono coerente con quanto detto fin qui, evito polemiche. Auspico semplicemente che prosegua, perché non è patrimonio di uno schieramento politico, ma un modello sul fronte della sicurezza che appartiene alla comunità e a tutte le istituzioni.