Sulla tassa Sky Berlusconi rilancia. Tremonti: Misura necessaria
02 Dicembre 2008
“Quando in cielo impazza l’artiglieria non c’è modo che le colombe possano spiccare il volo” si racchiude in queste parole del Senatore Gaetano Quagliariello, capogruppo vicario del Pdl al Senato, la complicata vicenda che vede contrapposti da un lato il Governo, che ha deciso con un proprio decreto di porre fine al regime agevolato Iva per le pay tv, e dall’altro Sky, maggiore player della tv a pagamento che lamenta un provvedimento troppo gravoso. Secondo Quagliariello infatti solo se Sky rinunciasse al continuo bombardamento di spot contro il Governo si potrebbe riaprire la via di una mediazione.
Intanto da Tirana il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha risposto così a chi gli chiedeva se il governo fosse disposto a modificare la norma : "Se la sinistra insiste perché si cambi la norma, la prendo in parola. Sono assolutamente d’accordo, purché si rispettino le norme europee". Il premier ha quindi ribadito le sue condizioni su questo tema: "Se la sinistra e dovesse insistere affinché l’Iva sulle televisioni sia al 10%", come prevede l’Unione europea, «io personalmente non ho nulla in contrario. Bisogna sentire poi il ministro Tremonti. La mia – dice il premier – è un’apertura totale alle richieste dell’opposizione». Poi ha aggiunto: "Ma dico: vediamo se la sinistra, per una volta tanto e finalmente sarà coerente con se stessa o se anche in questa occasione perderà completamente la faccia di fronte agli italiani".
Come detto, la strada della mediazione è ancora in salita ma secondo indiscrezioni sembra che all’interno della maggioranza e nel governo si stia valutando l’ipotesi di scaglionare in tre anni l’aumento dell’aliquota Iva: il decreto anti-crisi dovrebbe prevedere il passaggio dal 10 al 13% nel 2009, quindi al 17% nel 2010 per raggiungere il 20% nel 2011. Sarebbe questo il senso della gradualità degli aumenti cui ha fatto riferimento in un’intervista a Sky il vicepresidente del Senato ed esponente del Pdl Domenico Nania.
A fare luce sulla questione è il ministro dell’Economia Giulio Tremonti: "Esiste un blocco di documenti che hanno origine a Bruxelles da cui risulta che il sistema italiano, stratificato su più anni, era fuori dalla giurisprudenza europea per la quale dato un medesimo servizio non puoi avere aliquote segmentate in funzione delle tecniche di trasmissione utilizzate". Secondo Tremonti "è stata avviata una procedura di infrazione comunitaria e la soluzione poteva essere solo quella dell’allineamento delle aliquote. C’è un carteggio tra la commissione Ue e il governo Prodi che prevede l’impegno del governo ad allineare le aliquote. L’impegno scadeva in questi giorni". Il ministro ha poi aggiunto che sul pacchetto anti-crisi – all’interno del quale è prevista la norma su Sky – il governo ha deciso di porre la fiducia.
Di certo, in questa “battaglia” la tv di Rupert Murdoch ha come alleato ingombrante, forse non ricercato, l’intera opposizione al governo Berlusconi generando di fatto un conflitto politico che rischia di esasperare gli animi.
La guerra dell’Iva sulla tv a pagamento è infatti iniziata in un clima politico già teso dalle recenti polemiche su Vigilanza e Social card. La misura per la verità era nell’aria da tempo visto che il regime agevolato è scaduto nel 2007, tanto che lo stesso ex viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco, nella scorsa legislatura aveva auspicato il ritorno al regime ordinario, quello al 20 per cento. In realtà queste agevolazioni furono decise nel 1993 per facilitare la diffusione delle pay tv e poi prorogate nel 2003 quando Sky subentrò a Stream e Tele Più. Adesso, a quindici anni di distanza, il governo considera esaurita la necessità di sostenere con un regime iva agevolato la diffusione della tv a pagamento che ormai ha raggiunto volumi d’affari pari a quelle della tv generalista.
Ma dalle parti di via Salaria, sede di Sky Italia, non la pensano allo stesso modo. Così è partito l’affondo al governo che oggi ha toccato l’apice con uno spot circolato dalla mattina di ieri nel quale si dice: “In una fase di crisi economica i governi lavorano per trovare una soluzione che aumenti la capacità di spesa dei cittadini e sostenga la crescita delle imprese. Il governo italiano ha annunciato invece una misura che va nella direzione opposta: il raddoppio delle tasse sul vostro abbonamento a Sky che va dal 10 al 20 per cento”. Un aumento che secondo Sky graverà direttamente sugli italiani ed i loro abbonamenti dal prossimo 1 gennaio. Da qui l’appello della tv di Murdoch: “Se credete che questa decisione sia sbagliata scrivete una mail a: segreteria.presidente@governo.it. Per dire al governo la vostra opinione”.
Un colpo molto duro e sotto certi aspetti demagogico, ma si sa ognuno usa le armi di cui dispone visto che in fin dei conti oggi chi decide di fare un abbonamento ad una pay tv non è certo chi vive nella soglia di povertà. Ma non è tutto. Calcoli alla mano, l’aumento non sarà notevole e soprattutto dipenderà molto dal tipo di abbonamento. Facciamo un esempio: su 40 euro di canone mensile l’abbonato si troverà a dover pagare 4 euro in più ogni mese. Pochi spiccioli, verrebbe da dire, che comunque non sembrano giustificare una campagna così forte, visto anche che Sky gode del privilegio di agire nel suo mercato quasi da monopolista.
Dal canto suo l’opposizione ha deciso di fare l’endorsement alla battaglia di Sky mettendole il proprio “cappello politico” e dopo aver bollato come “elemosina di Stato” la social card adesso prende le difese di Murdoch puntando il dito contro la maggioranza per il ritorno al normale regime di Iva per Sky. E’ Walter Veltroni a guidare il fronte politico della protesta che stavolta vede, stranamente, la sinistra correre in soccorso del monopolista americano. Il leader del Pd ieri ha parlato infatti di “una misura che è un aumento delle tasse sulle famiglie" perché secondo lui non si tratta "di famiglie ricche ma dei tifosi delle squadre di calcio". E giù con l’attacco diretto al Presidente del Consiglio: "Berlusconi pensa che Sky debba chiudere – dice Veltroni – che l’opposizione debba dire di sì, che chi la pensa diversamente da lui non vada bene”.
Le ipotesi di un accordo sembrano lontane non solo per il clima politico difficile tra maggioranza ed opposizione ma anche perché l’ennesima proroga difficilmente potrebbe trovare una sua ragione d’essere. Ma non è detto che all’ultimo non esca un coniglio dal cappello.