Sulla uccisione di Osama si è fatto molto rumore per nulla

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Sulla uccisione di Osama si è fatto molto rumore per nulla

13 Maggio 2011

I tre quarti abbondanti delle cose che ogni mattina leggiamo sui quotidiani sono francamente dimenticabili. Non per forza per colpa degli estensori (a volte però si, diciamocelo): è che quando vanno in pagina le notizia sono tutte bell’e morte, cioè già date e ripetute mille volte, tra Internet, blog, sms. Anche le agenzie stampa vengono spesso battute dai media “alternativi”. Occorrerebbe allora risolversi a fare del giornalismo di opinione, commento e giudizio, ma lì la selva si fa oscura. Serve infatti esserne capaci, avere qualcosa da dire, fare un po’ di fatica per approfondire, non limitarsi al copia-e-incolla, insomma sforzarsi. Qualche volta ci si riesce, molte altre no. Accade allora che il giornalismo della carta stampata quotidiana (sicuramente di quella, forse forse pure di altro) diventa il rifiugium peccatorum in cui si mette alla rinfusa un po’ di roba che faccia spessore negli interstizi lasciati sguarniti dalle inserzioni pubblicitarie e dalle marchette obbligate; e siccome le pagine nei quotidiani sono tante giusto per salvare le apparenze, di roba a casaccio da scodellare ogni mattina ne serve molta.

Ecco perché una notizia viene data quattro o cinque volte, i non-commenti che l’accompagnano si moltiplicano insulsamente, le fotografie diventano sempre più grandi, i boxini di non-servizio pure e gli argomenti lasciano esterrefatti (ho letto su la Repubblica di mercoledì, tanto per non fare nomi, due pezzi politici dedicati alla paura che Silvio Berlusconi ha delle puzze e degli aliti pesanti…). Per esempio la gazzarra scatenata attorno all’ultimo tormentone mandato in dono ai suoi adepti dal dio del cipicì (la deontologia non ha infatti da tempo più alcun seguace, pare che i suoi “ultimi samurai” vaghino come zombie prossimi al seppuku in terre improbabili, cibandosi di quel che capita, nascosti tra il fogliame, perennemente braccati e in cerca di un perché alla loro unica, sola domanda eternamente uguale a se stessa: “ma chi caspita me l’ha fatto fare?”). Qual è il regalo di quella divinità complice e compiacente al suo clero di svogliati? Ma ovviamente le non-foto di Osama bin Laden morto, i non-video della sua “sepoltura”, i volti enigmatici del gotha del potere statunitense radunato nella “Situation Room” della Casa Bianca a “guardare non si che cosa”, il gossip sul ruolo avuto dai servizi segreti pakistani nell’azione che ha stroncato lo “sceicco del terrore”, etc., etc.

Ce n’è infatti di che campare a lungo, un regalo davvero insperato in giorni di fiacca, dopo che la gallina dalle uova d’oro dei processi a Berlusconi, e delle donnine vere o presunte che lo circonderebbero ad Arcore, è stata sfruttata fino allo sfinimento fisico di quel povero, mitologico pennuto. Grazie a bin Laden trapassato, si possono allora inondare le pagine con le illazioni gratuite, le si può saturare di “secondo me” senza principio e fondamento, le si possono allagare di smozzichi e sussurri di quel che ha detto Tizio, di quel che pensa Caio, delle supposizioni di Sempronio e delle “tesi alternative” del Sig. Rossi. Ci si può fare il libro, l’instant-book, lo speciale, il reportage virtuale, la non-inchiesta, l’allegato, l’inserto e il gadget raccogliendovi quel che già abbiamo visto e sentito mille volte, ripetendo usque ad nauseam le stesse immagini e le stesse parole mute e sorde, dando spazio – echissenefrega, l’importante è riempire e far parlare – ai complottismi fritti e rifritti e al flatus vocis del proprio che passa giù in cortile, tanto in democrazia tutti pesano uguale.

Martedì sera a Matrix Giulietto Chiesa ha detto che mica si può credere a quel che dice il presidente degli Stati Uniti d’America solo perché è il presidente degli Stati Uniti d’America, e nessuno degli altri convitati in studio (Stella Pende, Alessandro Cecchi Paone, Greg Burke e Barbara Palombelli) gli ha risposto dicendo “E perché mai dovremmo fidarci di quel che dice Giulietto Chiesa solo perché è Giulietto Chiesa?”.

Molto rumore per nulla. Il leader di al-Qa’ida è stato abbattuto dai Navy SEALs il 1° maggio 2011. Il fatto che non vi siano (o che non si mostrino) foto e video non prova che bin Laden non sia stato eliminato il 1° maggio 2011. Chi sostiene che ciò non sia vero, e che Elvis Presley e Michael Jackson campino di rendita in qualche paradiso nascosto lontano da occhi indiscreti, deve fornire le prove. La grande confutazione del complottismo sta tutta qui: la prova di ciò che i suoi teorici affermano è sempre contenuta in foto che non ci sono, registrazioni scomparse, video adulterati, dichiarazioni smentite e smentite affermate. Il complotto si prova con l’assenza delle prove, sennò che complotto sarebbe. È la realtà, infatti, che dà orrore ai complottisti.

Ora, ciò detto, il pout-pourri di scempiaggini che turbina inarrestabile da dieci giorni sui nostri giornali a proposito della cosiddetta “Operazione Geronimo” è una vera e propria manna per la Casa Bianca. Più infatti il tormentone continua e più i cittadini americani vengono distratti dal resto. Dall’assenza totale di una politica estera statunitense credibile (qualcuno ha notizia del Segretario di Stato Hillary Clinton?), dal nulla cosmico di Washington rispetto a quanto sta accadendo (niente di buono) in Nordafrica e Medioriente, dall’impegno riluttante-ma-costante delle armi USA nell’insulsa guerra libica, dal ritiro sornione dei servicemen dai teatri della guerra al terrorismo, dalle parole al vento di Obama su islam e terrorismo, dalla completa mancanza di prospettiva del Commander-in-Chief nel caso Pakistan, dal costante e crescente debito pubblico americano, dalle tasse che in quel Paese non scendono e anzi si vorrebbero aumentare per i “ricchi”, dalla controversa idea obamiana di riformare la legge sull’immigrazione, e via così.

Più il mondo si parla addosso perdendo tempo sulle non-foto e sui non-video, più Obama potrà sornionamente proseguire nella sua distruzione del Paese e surrettiziamente imporre ai cittadini americani politiche nocive. Vuoi dire che si è messo d’accordo con Giulietto Chiesa e Massimo Mazzucco?

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk