Sulla visita di Obama in Russia c’è lo spettro di una nuova guerra in Georgia
02 Luglio 2009
Dal 6 all’8 luglio il presidente Obama sarà in visita a Mosca dove incontrerà la coppia Medvedev-Putin. Con il primo è possibile e auspicabile che si rafforzi il dialogo sulla sicurezza comune ripartito dopo il “reset” annunciato tempo fa dal segretario di stato Clinton. Ieri Medvedev ha citato Kennedy come l’icona di una nuova stagione di relazioni russe con gli Usa. Ma con Putin la musica cambia. L’uomo di San Pietroburgo è un osso duro che rabbrividisce solo al pensiero che Obama possa ripetere a Mosca un discorso come quello fatto al Cairo.
Putin si è sbarazzato definitivamente degli oligarchi ed ha rimesso in pista il suo Paese nel concerto delle potenze, dopo gli anni bui del postcomunismo. Sia lui che Medvedev stanno restaurando le vestigia dell’antico splendore sovietico attraverso una sottile propaganda nazionalista e antiamericana che dalle tv passa attraverso i libri di scuola. Il premio Nobel Gorbaciov ha criticato pesantemente l’elite al potere, spiegando che la Russia è rimasta a metà del guado sulla strada della democrazia, prigioniera di un partito unico – “Russia Unita” di Putin – che è “peggio del Pcus”.
Sul Wall Street Journal, David Ignatius ha consigliato a Obama di portarsi in viaggio una coppia dei Fratelli Karamazov, paragonando Putin al “Grande Inquisitore” della leggenda dostoyevskiana. C’è un senso di “miracolo, mistero e autorità” che circonderebbe Putin, pronto a riprendere il potere dopo la parentesi di Medvedev. L’opinione pubblica russa sembra aver accettato come un dato di fatto che l’unico modo per uscire dal disastro e dall’anarchia del postcomunismo sia dare il proprio consenso all’autoritarismo soft dell’ex Kgb. Un membro della Duma ha detto che Putin sa cosa vogliono i russi meglio di quanto non lo sappiano loro stessi. Queste maniere forti piacciono ai generali orfani dell’impero non si fidano degli americani e li considerano alla stregua di predatori che hanno goduto della debolezza del Paese nei decenni scorsi.
Putin teme che Obama parli della Guerra in Georgia dell’estate scorsa. A distanza di un anno, a Mosca circolano strane voci su un nuovo blitz che si preparebbe ai danni della repubblica caucasica ribelle. Obama farà riferimento alla difesa dell’integrità territoriale georgiana? Oppure accetterà implicitamente il riconoscimento unilaterale di Mosca delle repubbliche secessioniste di Abkazia e di Ossezia? La decisione di Mosca di congelare le ispezioni degli osservatori internazionali in Georgia non promette niente di buono. Lo scorso 17 giugno uno dei generali russi che hanno condotto le operazioni militari contro Tblisi ha detto all’agenzia Novosti che “Saakashvili sta caricando le armi ed è pronto ad una nuova aggressione”.
In realtà un intervento in Georgia comporterebbe una serie di difficoltà e pericolose conseguenze per la Russia, che nel frattempo sta continuando nell’opera di dismissione del suo vecchio arsenale bellico (gli ultimi a provare la cura dimagrante sono stati i carristi). Una lunga guerriglia in Georgia riaccenderebbe le fiamme nel Caucaso, dal Dagestan alla Inguscezia. Ma una vittoria come questa servirebbe a Mosca per assicurarsi un crocevia fondamentale nel controllo delle risorse energetiche dirette verso i mercati europei, oltre ad essere un’umiliazione per gli americani e un modo per distrarre l’opinione pubblica russa dai problemi interni.
All’incontro dell’Osce della settimana scorsa il ministro degli esteri russo ha distinto la questione georgiana – che è ancora fonte di divisione con la Nato e le potenze occidentali – dalla collaborazione in altri scenari, come l’Afghanistan, la lotta alla pirateria, al terrorismo e al traffico di droga. Una nuova guerra contro Tblisi riporterebbe indietro di un anno le lancette della Storia. Per questo è essenziale che durante la visita a Mosca il presidente Obama faccia dei riferimenti espliciti alla sovranità della Georgia e alle conseguenze di un intervento russo nel Caucaso.
Il Christian Science Monitor ha scritto che i russi soffrono dello stesso deficit di democrazia che affligge molti degli abitanti del Medio Oriente a cui Obama si è rivolto durante il suo discorso al Cairo. Freedom House ha paragonato i leader dei Paesi islamici illiberali al direttorio russo: entrambe sono elite corrotte che controllano i loro paesi con la forza appropriandosi delle risorse economiche per il proprio arricchimento personale. In questi Paesi non ci sono vere elezioni e i gruppi per i diritti civili, gli oppositori, coloro che si battono contro la corruzione, vengono repressi anche brutalmente.
Obama potrebbe rispondere a tutto questo dicendo ai moscoviti che l’America non desidera avere di fronte una Russia debole e servile ma un Paese con cui condividere gli stessi valori democratici e un vero partner per superare le gravi crisi che sta affrontando il mondo.