Sull’ambiente gli inglesi sanno essere tanto spregiudicati quanto indifferenti

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Sull’ambiente gli inglesi sanno essere tanto spregiudicati quanto indifferenti

07 Aprile 2010

E’ di questi giorni la notizia che la Gran Bretagna ha appena istituito la più grande riserva marina del mondo: 650 mila kilometri quadrati intorno alle isole Chagos; nessuno le conosce ma se si va su Google, per esempio, si scopre che sono relativamente vicine alle isole Mauritius che, peraltro, ne rivendicano la sovranità benché l’Inghilterra se ne sia appropriata sin dal 1814, e ne mantengono il controllo come retaggio dell’impero.

In effetti , per gli addetti ai lavori le isole non sono poi così sconosciute, infatti la più grande delle 55 ospita da vari anni una importante base militare USA, Diego Garcia: punto di appoggio strategico di estrema rilevanza in quella parte del mondo .

La notizia della creazione della riserva è stata fornita direttamente dal Ministro degli Esteri inglese David Milliband che, ricordiamolo, aveva ricoperto nel precedente governo proprio il dicastero dell’Ambiente, oggi passato al fratello, tanto per mantenere il tema in famiglia.

Le acque delle isole sono di una purezza fantastica, la barriera corallina è la più incontaminata del mondo; molteplici specie popolano questo spicchio di mondo garantendo la salvaguardia della biodiversità proprio quest’anno che è stato dichiarato dalle Nazioni Unite l’Anno mondiale della biodiversità. 

Ha proprio ragione il Ministro quando afferma che la decisione assunta “è un grande passo avanti per tutelare gli oceani di tutto il mondo”? Gli inglesi si candidano a paladini dell’ambiente e della sua salvaguardia? Sono tutte rose quelle che il governo sta offrendo alle varie organizzazioni ambientaliste, Greenpeace in testa, che hanno accolto entusiasticamente la notizia?

In effetti non è tutto oro quello che luce: la notizia nasconde una storia ben diversa e per nulla commendevole tanto che le organizzazioni di tutela dei diritti umani hanno reagito in maniera opposta protestando. Infatti, dal 1967 al 1973 gli abitanti dell’isola dove si andava costruendo la base di Diego Garcia sono stati allontanati dalla loro isola in maniera forzata: ogni tentativo di far valere i loro diritti a livello legale è stato regolarmente soffocato, tanto che l’ultima spiaggia è rappresentata dalla Corte europea dei Diritti a Strasburgo che è stata investita del caso e che dovrebbe discutere il caso entro l’estate. Milliband è stato anche accusato dai 4000 cittadini della Chagos, forzatamente residenti in Inghilterra, di aver creato la riserva senza la minima interazione con loro ed al solo scopo di condizionare in positivo a suo favore la sentenza che dovrebbe essere emessa da Strasburgo.

Altre critiche vengono dagli abitanti delle altre isole coinvolte nell’operazione riserva, che contestano fortemente l’iniziativa perché istituisce un divieto di pesca in una zona particolarmente ricca mentre proprio la pesca è l’unica risorsa, praticata da sempre per vivere, su cui si basa l’economia e la vita stessa degli abitanti.

In effetti, da più parti si contesta che questa iniziativa del Ministro degli Esteri inglese ha poco a che fare con reali necessità o desideri di salvaguardia dell’ambiente ma appare molto più prosaicamente dettata dall’imminenza delle elezioni politiche nelle quali Milliband vorrebbe conquistare il voto degli ecologisti, vista anche la reazione entusiasta delle varie organizzazioni alla notizia dell’istituzione della riserva marina.

Ma fin dove arriva il cinismo politico da una parte e la disarmante ingenuità dei verdi dall’altra? L’esempio più lampante è sotto gli occhi di chi vuole vedere le cose e non girare la testa dall’altra parte abbagliato dai lustrini di una notizia come questa: l’esmpio lampante viene dalla posizione assunta dal Regno Unito alla recente Conferenza mondiale di Doha sulla Convenzione CITES per la salvaguardia delle specie faunistiche e botaniche in via di estinzione su di un tema di reale interesse ambientale: il blocco della pesca del tonno rosso atlantico.

Studi di svariati biologi marini hanno, da tempo, mostrato come questa specie si stia depauperando in maniera continua e regolare a causa del suo sfruttamento industriale, come cibo pregiato, attuato essenzialmente dal Giappone. Sulla base di queste evidenze, il Principato di Monaco si era fatto promotore della proposta di blocco della pesca al fine di consentire un recupero della natalità della specie. L’Europa in toto si era dichiarata favorevole a questa proposta trovandosi davanti, ovviamente, l’opposizione giapponese e degli altri paesi legati a questa pesca: va anche notato che l’Italia e la Francia avevano aderito alla posizione europea pur consapevoli che questa scelta ledeva gli interessi dei loro pescatori ma, tant’è, la salvaguardia della specie aveva prevalso anche grazie all’accordo di concedere compensazioni economiche.

Per tre lunghi giorni, tre volte al giorno in defatiganti riunioni di coordinamento europeo, le delegazioni hanno discusso fino a spaccare il capello in quattro le varie iniziative da prendere e le azioni da adottare in funzione di come gli altri paesi avrebbero reagito alla proposta di tutela del tonno.

Ebbene, a valle della votazione finale si è notato che qualcosa non andava e che i numeri non tornavano: la proposta era stata sonoramente battuta e mancavano dei voti europei. Tutto sarebbe rimasto annegato nell’incertezza se non si fosse scoperto che il voto, che avrebbe dovuto essere segreto, cosi’ non era stato per cui si poteva sapere chi aveva votato e come. Ed allora, ad occhi bassi, candidamente il Capo della delegazione britannica ha confessato ai colleghi europei che, nella notte precedente al voto, il suo Ministro dell’Ambiente, il fratello di quello degli Esteri, aveva dato ordine di votare difformemente dalle posizioni europee per “salvaguardare gli interessi economici nazionali”. Evidentemente doveva essersi tenuta una negoziazione riservata con i giapponesi con i quali era stato raggiunto un accordo economico importante su altri temi ma che giustificava l’abbandono delle fiere posizioni ambientaliste sino ad allora sostenute dai britannici in ogni sede.

Lo strano è che non un fiato si è sentito dalle organizzazioni ambientaliste inglesi al riguardo, né durante la conferenza né dopo: flebili anche le lamentele di quelle statunitensi.

Ed ecco che invece il fratello maggiore, con un’ennesima piroetta, si riappropria della scena politica offrendo 650 mila kilometri quadrati di riserva marina all’eccitazione orgiastica dei suoi potenziali elettori verdi alle prossime concultazioni, dove, ricordiamolo, potrebbe anche presentarsi addirittura come candidato Premier se l’attuale Primo Ministro, Gordon Brown, dovesse ulteriormente sprofondare nei sondaggi già oggi pesanti al suo riguardo.

Strani i comportamenti degli inglesi sui temi ambientali? No, direi piuttosto di un cinismo esemplare, da manuale; disarmanti nella loro ingenuità invece gli ecologisti, ma questa è una vecchia storia.