Sull’Aquila splende il sole ma non riscalda i cuori di chi è sopravvissuto
10 Aprile 2009
Il tempo nel campo è sospeso. Fermo da quella terribile notte di domenica, scandito soltanto dai pasti da ritirare e dalle file per i beni di prima necessità. E dalle scosse, che continuano, forti, a intervalli regolari, ma mai prevedibili, a riportare l’angoscia nel cuore di chi, in venti secondi, ha perso tutto.
Nel campo sportivo di Acquasanta i bambini corrono, dando calci ad un pallone, sotto un sole splendente che riscalda la giornata. Ma è troppo poco per pensare alla primavera, troppo presto per parlare di normalità.Nel sorriso sforzato di una madre, che si gira nella branda per non svelare le lacrime al proprio figlio, nella pazienza degli anziani, nei loro occhi perduti, nei pigiami di chi è fuggito, scampando alla morte per miracolo, c’è tutta la tragedia che gli abruzzesi stanno sopportando.
Con dignità, compostezza e grande gratitudine per chi li sta aiutando, raccontano di un’esperienza non facile, della vita da sfollati, di chi, salvo, ringrazia Dio e poi piange, per l’amico, il parente, lo sconosciuto che quella domenica non ce l’ha fatta.
“Una mia compagna di squadra di ventuno anni ha perso la vita – rivela la pallavolista ventiseienne Daniela Angelini – e come lei tante persone che conoscevo. Quando ho visto crollare il tetto del Castello ho capito che L’Aquila era finita. L’Aquila non c’è più”.
Ogni sfollato ha racconti simili: “Ho appena saputo che è morto un mio caro amico – dichiara incredulo Michel Barzini, di soli 23 anni – è terribile. Ringrazio Dio perché fortunatamente la mia famiglia è tutta salva, ma quella notte abbiamo perso tutto. Il lavoro, ad esempio. Io lavoravo in un negozio di informatica, al capo è crollata completamente la casa: mi ha chiamato, mi ha detto ‘auguri’, e se n’è andato per sempre. Non penso il negozio riaprirà. Ora possiamo solo aspettare, ma in casa, no, io non ci voglio tornare. Ho un fratellino di 3 anni e voglio stia al sicuro”.
Eppure di sicuro, ormai, c’è solo il campo sfollati: “Ho già detto a mio marito che noi vivremo su di un camper per tutta la vita – racconta Fabiana Milani, 34 anni – ho troppa paura di rientrare in casa. Ho una bambina di 13 anni e lei è sperduta, guarda i suoi genitori e vede che anche noi non abbiamo certezze. Per fortuna nel campo ci sono gli animatori e i ragazzi della protezione civile: loro cercano di mantenere il buonumore e di far giocare i bambini. Sono degli angeli, perché attorno c’è tanta disperazione. Io ho perso un’amica e la sua bambina, di soli due mesi. I nostri discorsi, qui nel campo, sono un bollettino di morti e un bilancio di come stanno le nostre case…”.
Ci sono anche tanti sacerdoti nei vari campi. Girano portando una parola di speranza, ma non tutti riescono ad accoglierla: “E’ inutile che mi viene a parlare di Dio – sbotta Gaetano Vaccarelli, 77enne invalido – ho perso mia madre, mio padre, una sorella e pure una figlia di 22 anni. Se l’è portata via una leucemia, non il terremoto, ma solo questa ci mancava. Perché il Signore non si porta via me che sono anziano?”.
Prende farmaci il signor Gaetano e, come lui, anche la moglie Fulvia e il figlio Maurizio: “E’ per questo che ci hanno portati qui. La nostra casa tutto sommato ha retto, ma è piuttosto isolata e non potevamo rimanerci. Qui ci stanno trattando benissimo. Fanno veramente tanto, sono molto umani. Loro sì che sono uomini di carità”, conclude parlando dei volontari della Protezione civile.
“Mio padre continua a piangere – la testimonianza di Daniele Di Gregorio, 23enne de L’Aquila – come quella notte, quando ci siamo svegliati di colpo, con tutti i calcinacci che ci cadevano addosso, e ci siamo rifugiati sotto l’architrave. Io e lui, abbracciati, per quei secondi interminabili, a piangere. Un’esperienza devastante”.
I ricordi si sciolgono in un pianto dirotto, la fidanzata, L.P. di 17 anni, completa il tremendo racconto di quella notte: “Ci siamo svegliati perché la casa accanto è crollata sulla nostra. Mia sorella se n’è accorta prima di tutti, era già al balcone e l’ha vista sgretolarsi davanti ai suoi occhi. Vivevamo in via XX Settembre: la nostra è fra le abitazioni più pericolanti in questo momento. Mia sorella aveva anche tanti amici nella casa dello studente. Li ha visti uscire vivi dalle macerie e volerci rientrare per salvare le loro fidanzate”.
In molti hanno lottato per strappare alle macerie vite umane: “Quella sera ho scavato a mani nude – dice il responsabile del posto medico avanzato della Polizia di Stato, Fabrizio Venturini – ma sono riuscito a estrarre vive solo due persone. La prima, un uomo che in via XX Settembre è rimasto sotto al tetto a spiovente della sua palazzina. Mi ha pregato di soccorrere anche la moglie e la figlia, ma le abbiamo trovate solo dopo molte ore. La mamma era riversa sulla figlia, come a volerla proteggere, ma entrambe erano ormai morte. In quei momenti pensi solo a lavorare e a scavare, poi, a distanza di qualche giorno, hai un crollo. Ora ho difficoltà a dormire, sogno persone che mi chiamano, che m’implorano, sommerse dalle macerie – prosegue il dottore nel drammatico racconto – ma non importa. La cosa prioritaria adesso è il sostegno a chi si è salvato, per aiutare questa gente a ricominciare”.