Sulle comunali di Napoli si gioca una partita chiave a livello nazionale

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Sulle comunali di Napoli si gioca una partita chiave a livello nazionale

06 Maggio 2011

Parola d’ordine: scurdammoce ‘o passato. La bagarre elettorale per il Comune di Napoli, uno dei test chiave per valutare su scala nazionale l’esito delle prossime amministrative, sembra animata da personaggi e interpreti mandati in scena con l’unico obiettivo di provare a mischiare le carte per evitare quello che dovrebbe essere (e, con ogni probabilità, sarà) il naturale, logico e fisiologico, verdetto delle urne: la rottura con il passato, l’alternanza tra schieramenti politici, la discontinuità rispetto a circa vent’anni di centrosinistra. Il successo, cioè, del centrodestra e del suo candidato Giovanni Lettieri. Dopo l’era infausta del bassolin-iervolinismo, non dovrebbe esserci partita, nè margine di dubbio o discussione.

Ad autobocciarsi, a mostrare la consapevolezza di doversi presentare almeno formalmente come qualcosa di diverso e il più possibile lontano da chi ha amministrato il capoluogo partenopeo (oltre che la Regione) lasciando che sprofondasse tra i rifiuti, è innanzitutto il Partito Democratico. Lo dimostra la scelta di un candidato sindaco di sbiadita colorazione politica, pescato dalla riserva istituzionale, come Mario Morcone. L’ex prefetto non perde occasione per tentare di smarcarsi dal partito che lo esprime e per rivendicare una non meglio identificata autonomia rispetto al Pd e agli alleati. Un po’ come dire: mi prendo quel simbolo e punto allo zoccolo duro di quell’elettorato, ma poi chiedo il voto a tutti perché io mica sono del Pd e non ho nulla a che spartire con la forza politica che ha prodotto-gestito-guidato il fallimento degli ultimi lustri. Operazione velleitaria quanto palesemente strumentale. Ma anche, bisogna ammetterlo, inevitabile.

Perchè il partito bersaniano ha assoluto bisogno di cambiare fisionomia e connotati, di sottoporsi ad operazioni di plastica facciale per non farsi riconoscere da chi lo ha visto protagonista e artefice di stagioni tra le più amare e sconsolanti per la città di Napoli. E per non lasciarsi identificare come il partito delle primarie fantasma, quelle passate alla storia per il voto dei cinesi, concluse con l’annuncio di un vincitore (Cozzolino) e di uno sconfitto (Ranieri) che presentava ricorso alla luce dei forti e diffusi sospetti di brogli. Ebbene, ora qualcuno pensa che basti estrarre un nome nuovo dal cilindro per far dimenticare che sulle primarie di quel partito è calata una coltre di omertoso "silenzio dei colpevoli", come dimostra il fatto che nulla più si è saputo su quel voto,  sul presunto vincitore e sui ricorsi tendenti ad accertare la regolarità o meno di quello che era stato strombazzato come un grande momento di partecipazione e trasparenza.

Perplessità di altro genere desta la soluzione scelta dal Terzo Polo, che punta su Raimondo Pasquino. A volersela cavare con una battuta si potrebbe dire che il Rettore dell’Università di Salerno, nato in provincia di Catanzaro, non è precisamente il massimo come icona del territorio napoletano. In realtà, il discorso è ben più delicato e complesso. Pasquino sconta in primo luogo le anomalie-contraddizioni-forzature insite nel poco convincente e poco convinto connubio tra finiani e casiniani. Incongruenza a cui si aggiunge un’altra, ancor più pesante, ambiguità connessa al ruolo dell’Udc, che governa la Regione assieme al Pdl mentre a Napoli fa corsa solitaria in attesa di apparentarsi con il candidato democratico in vista dell’eventuale secondo turno. Per Pasquino, insomma, il Terzo Polo ha ritagliato il ruolo angusto, scomodo e tutt’altro che esaltante di "vittima sacrificale" predestinata al ruolo di mera pedina per intese al ballottaggio.

A completare il quadro c’è il radicalismo parolaio e l’estremismo guascone di Luigi De Magistris. A Napoli, con la sapida ironia della gente del posto, c’è chi lo ha subito ribattezzato "Uaio ‘e notte" per sbeffeggiare con un’assonanza (una sorta di traduzione onomatopeica) la sua tristemente famosa e poco fortunata – per così dire – inchiesta "Why not". Stando ai sondaggi, un certo appeal elettorale non gli manca, tanto che viene considerato in corsa testa a testa con Morcone per il secondo posto alle spalle di Lettieri. Può incarnare un voto di rabbia e di protesta. Ma appare francamente improbabile, e comunque di certo non auspicabile, che i napoletani decidano di affidare le loro ansie e speranze di riscatto ad un Masaniello del terzo millennio.

La sensazione è che, sui vari fronti, si punti a riproporre il gioco già tentato alle regionali di un anno fa, quando si provò a gettare nella mischia un "eretico" come Vincenzo De Luca per fermare la marcia del candidato di centrodestra. E l’impressione è che l’epilogo sarà lo stesso: una sonora bocciatura del gattopardismo in salsa napoletana.