Sulle pensioni è ora che il Governo si faccia sentire

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Sulle pensioni è ora che il Governo si faccia sentire

25 Maggio 2009

In questi giorni i quotidiani e le tv hanno parlato di svolte imminenti sul versante delle riforme, compresa quella delle pensioni.

Ripassiamo alla moviola gli eventi. Mercoledì scorso, nel pomeriggio, Raffaele Bonanni, aprendo il Congresso della Cisl, ha attraversato il Rubicone affermando che l’innalzamento dell’età pensionabile e la revisione della disciplina del licenziamento individuale non sono più dei tabù per la sua organizzazione la quale è pronta ad affrontare ambedue le questioni.

Il giorno dopo, Emma Marcegaglia, in occasione dell’Assemblea annuale di Confindustria, ha invitato il Governo a fare di più perché non c’è un ‘prima’ e un ‘dopo’, ma è proprio durante l’emergenza che vanno attuate le riforme. Molto efficace il gesto della presidente, la quale si è rivolta direttamente al premier che le era seduto davanti in prima fila e lo ha invitato ad avvalersi del grande consenso di cui ancora gode per dare corso ad un periodo di riforme. Se vogliamo dire la verità la risposta di Berlusconi non è stata all’altezza. A parte i toni, neppure una Camera con soli cento deputati sarebbe in grado di fare una riforma (delle pensioni) se il Governo si ostinasse a sostenere che non è il momento.

Non a caso, nella stessa giornata della performance di Emma, è arrivata una risposta piccata da parte di Giulio Tremonti col tono di chi afferma "ragazzino, lasciami lavorare", rivolgendosi alle parti sociali. Le riforme – ha detto – le faremo noi al momento giusto, perché è troppo comodo sostenere che si deve riordinare la previdenza, senza indicare come e quando intervenire e a quale età deve essere elevato il requisito anagrafico per avere diritto alla pensione. Il ministro dell’Economia non ha tutti i torti.

I sindacalisti sono bravissimi a dichiararsi disponibili a radicali cambiamenti, salvo riservarsi di introdurre, all’atto pratico, molti lacci e laccioli, tali da scoraggiare chiunque. Ma è inutile nascondersi un preciso dato di fatto: l’invito ad agire più incisivamente è finito, in larga misura, sul tavolo del titolare del welfare, il quale non ha mai negato di preferire – con tante buone ragioni – una linea di cautela che tenesse conto della difficile fase dell’economia. Tanto più quando si tratta delle pensioni e dell’articolo 18 dello Statuto.

E’ arrivata, venerdì, al Congresso della Cisl, una risposta compiuta da parte del ministro Sacconi, al quale è stato giustamente riconosciuto, in entrambi gli eventi paralleli, la validità della scelta di affrontare la crisi in modo adeguato per quanto riguarda sia lo strumento della cassa integrazione in deroga, sia l’ammontare dei finanziamenti grazie alla felice intuizione dell’accordo con le Regioni per l’uso delle risorse del FSE. Ma un bravo e stimato ministro come Sacconi si è sicuramente accorto del fatto che l’invito proveniente dalle parti sociali lo metteva in mora. Certo, non possiamo aspettarci che un uomo politico accorto prometta "lacrime e sangue" sotto elezioni. Ma non potrà neppure fare finta di nulla ed ignorare i cambiamenti intervenuti nell’ambito dei principali interlocutori del Governo (anche la Uil ha fatto delle aperture, mentre le maggiori resistenze sono venute dalla Ugl).

Prima o poi, il Governo qualche problema dovrà porselo. Renato Brunetta ha dimostrato che impegnarsi nelle operazioni difficili è non solo possibile ma, anziché togliere consenso politico, ne porta. Quando si colpiscono interessi di minoranze, magari rumorose e protette, si guadagna il sostegno di vastissime maggioranze, silenziose e non tutelate. Così è, oggi, nel caso della riforma del pubblico impiego; così può essere un domani nel campo delle pensioni.

Così Sacconi, venerdì mattina, con un abile discorso, ha messo in campo la disponibilità del Governo. Non poteva esimersi dal compiere una riflessione di carattere politico. Non solo nelle confederazioni sindacali ma anche nel campo del Pd vi sono forze che stanno ponendo, con atti di carattere legislativo, problemi (magari non completamente condivisibili) di cambiamento e di superamento dei tabù storici della sinistra e del sindacato. Ovviamente la loro non è una battaglia facile. Ma deve essere il Governo a dir loro di no? E, addirittura, insieme alla Cgil? La quale, peraltro, non si è sfilata dal confronto. Epifani ha capito che questa volta a tutelare le sue posizioni sarà proprio l’odiato Governo.