Sulle pensioni, i giovani e la “flessibilità”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600


Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Sulle pensioni, i giovani e la “flessibilità”

Sulle pensioni, i giovani e la “flessibilità”

31 Ottobre 2022

Sulle pensioni si promette questo mondo e quell’altro perché siamo un Paese vecchio e il partito dei pensionati conta parecchio. L’ultima riforma strutturale risale al 2011, la Fornero. Riforma che poi è stata congelata, in attesa di capire se riemergerà dall’oblio nel 2023. Nel frattempo navighiamo in una palude di soluzioni alternative e altrettante proposte sul tavolo, con due stelle a fare da bussola.

Il sistema contributivo che però non tutela più tutti, da una parte. La “flessibilità in uscita” che è un bel concetto ma a patto di tenere i conti in ordine e non dare opportunità solo ad alcuni, dall’altra. Una soluzione sulle pensioni il Governo dovrebbe darla entro la fine dell’anno, per evitare il ritorno dello “scalone” Fornero. Il che comporterebbe i sindacati in piazza a protestare contro le pensioni a 67 anni e 42 di contributi. Sentiremmo dire che la pensione è un diritto. Per chi lo avrà. Il partito trasversale dei pensionati in parlamento farebbe da controcanto, mentre la spesa pensionistica aumenta.

La Nadef 2022 evidenzia che nel 2023 avremo un aumento della spesa pensionistica di quasi l’8 per cento. Determinato dalla rivalutazione degli assegni Istat. Altri bei soldini da trovare per lo Stato italiano, non c’è neanche bisogno di chiedersi dove però.

Dunque bisogna decidere cosa fare di Quota 102, Opzione donna e l’Ape sociale. Tutte cose di cui i giovani, che rappresentano una quota minoritaria nel Paese, comprensibilmente ignorano l’esistenza. In particolare chi la flessibilità del mercato del lavoro in entrata la vive sulla sua pelle. Da quando ha iniziato a lavorare. Sono quelli che probabilmente la pensione la vedranno col binocolo. I non garantiti. E pure non rappresentati.

Quota 102 vuole pensionati a 64 anni con 38 anni di anzianità contributiva. Opzione donna vuole dipendenti in pensione a 58 anni, e lavoratrici autonome, tanto per cambiare, a 59, con 35 anni di contributi e il ricalcolo contributivo dell’assegno. Ape sociale prevede una indennità per lavoratori “in determinate condizioni” che abbiano compiuto 63 anni, fino al conseguimento della pensione di vecchiaia.

Per ora il ministro del Lavoro Calderone ha fatto sapere di voler “ascoltare le istanze delle parti sociali”. “Nei prossimi tempi” il governo farà “tutti i passaggi necessari”. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, che Calderone ha guidato prima di diventare ministro, propone una Quota 100 o 102 “flessibile”. In pensione tra 61 e 66 anni con almeno 35 di contributi.

Tra le proposte che circolano c’è anche una Opzione uomo, che invece vuole mandare in pensione a 58 anni con 35 di contributi versati e tagliando l’assegno per chi scegliesse questa formula. E Quota 41, che invece piace alla Lega e ai sindacati, con la pensione a 62 anni o a prescindere dalla età e 41 anni di contributi. Quota 41 costerebbe 5 miliardi all’anno alle casse dello stato.

Con il suo protagonismo utile ad anticipare le mosse del Governo di cui fa parte, Salvini ha anche proposto una partita di giro. La sospensione del reddito di cittadinanza, che si diceva di voler eliminare, per dirottare risorse sulle pensioni. Sempre di spesa pubblica si tratta però. Infine abbiamo ascoltato una altra proposta, cioè pagare un bonus a chi vuole continuare a lavorare invece di andare in pensione a 63 anni. Dare un bonus per lavorare a chi un’occupazione già ce l’ha mentre tanti altri lo cercano. Curiosa come idea di flessibilità.

In attesa di capire quale sarà l’indirizzo, si può fare qualche considerazione. Non c’è dubbio che una previdenza flessibile darebbe alle imprese il giusto ricambio di competenze, investendo sulla innovazione. Le imprese pagherebbero meno cassa integrazione, mentre i neopensionati dovrebbero vedersela con il welfare italiano. Peccato però che con Quota 100 abbiamo scoperto che la grande sostituzione nel mercato del lavoro non c’è stata. O perlomeno non nel settore privato. Nella PA invece Quota 100 ha funzionato di più. Solo che i nuovi ingressi sono minori dei lavoratori che escono.

La cosa che conta però è un’altra. Nella Pa che è la gola profonda della spesa pubblica inefficiente abbiamo avuto prepensionamenti in cambio di nuove assunzioni senza però riformare prima la amministrazione dello stato. Si pagano le pensioni agli ‘anziani’ che avrebbero potuto continuare a lavorare e si pagano pure i nuovi dipendenti in un sistema che funziona male e costa tanto. Altro che innovazione e flessibilità.

Il problema delle pensioni è che nessuno tende a spiegare con chiarezza su quali basi dovrebbero reggersi contributivo e flessibilità. Eppure quelle basi sono abbastanza chiare. Il lavoro dei giovani, la crescita economica del Paese, gli investimenti delle imprese, la produttività, l’aumento dei salari e di conseguenza dei contributi. Non si capisce però come può reggersi un sistema che vuole mandare in pensione gente che potrebbe ancora lavorare se la crescita è al palo.

I salari non salgono. La produttività è più bassa che nel resto dell’Europa. Il mercato del lavoro è anche fatto di atipici e autonomi che per capire quanto prenderanno di pensione hanno bisogno di un consulente senior. Se l’economia non cresce, la previdenza non è sostenibile. Così anche la flessibilità va a farsi benedire. Vedremo comunque quale sarà la quadra trovata dal Governo.

Per le aziende e il mondo delle professioni certamente è auspicabile prepensionare in cambio di nuovi profili tech e sostenibili da assumere. Per la PA e le nostre tasche, come dicevamo, molto meno. La logica del prepensionamento nella PA confina con quella del reddito di cittadinanza. Scaricare il costo di un provvedimento preso oggi sui nostri figli, le prossime generazioni.

Giuliano Ferrara scrive provocatoriamente che questi figli non hanno ancora fatto nulla per noi. È ottimista però. Di figli non se ne fanno più perché viviamo nell’incertezza economica e pure emotiva. Neppure in una provincia italiana c’è una media di due bimbi a famiglia. In compenso nel sud drogato dal reddito di cittadinanza la gran parte dei giovani è disoccupata. Fa lavori ‘flessibili’ (e meno male). Vive ancora a casa dei genitori. I giovani sperano nel concorso pubblico o se ne vanno all’estero. Un po’ poco per rendere il sistema previdenziale contributivo sostenibile sul lungo periodo. Ma ci sono gli immigrati, per carità.

Quello che però proprio non si capisce è perché un giovane a cui hanno detto studia con merito perché poi troverai un lavoro adatto alle tue competenze, una volta compreso coma va l’andazzo, debba fare qualcosa per il Paese. Vecchio, stanco, fermo e irriformabile. Come mai solo ai giovani venga chiesto questo sforzo filantropico. Perché mai solo loro dovrebbero pagare le garanzie accumulate da altri negli anni e che loro non avranno. Bel modo di intendere il patto generazionale.