Sulle pensioni serve una presa di coscienza collettiva e bipartisan
12 Febbraio 2010
Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi a Bruxelles sulla questione dell’età pensionabile non sono state accolte con particolare entusiasmo in Italia, tanto che persino autorevoli ministri hanno rilasciato dichiarazioni sicuramente politically correct ma sospese, in realtà, tra la messa a punto e la presa di distanza. Di certo, non sembra sostenibile che, prendendo la parola in quell’autorevole consesso, il premier italiano intendesse invitare gli altri Paesi (che per altro lo stanno già facendo per loro conto) ad elevare l’età pensionabile, allontanando nel medesimo tempo l’amaro calice dall’Italia perchè avrebbe "già dato". E’ vero che anche in questa legislatura il Governo non è stato affatto reticente in tema di pensioni. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: i provvedimenti adottati nel luglio scorso in un clima di assoluta pace sociale sono importanti perché di carattere strutturale.
Una valutazione questa che non riguarda soltanto l’allineamento graduale dell’età di vecchiaia delle lavoratrici della pubblica amministrazione con quella dei loro colleghi maschi (una misura che in un decennio consentirà un risparmio pari a 2,8 miliardi, ma anche – e soprattutto – l’aggancio automatico del requisito anagrafico alla dinamica dell’attesa di vita a partire dal 2015. Possiamo ritenerci al sicuro? Non è una questione di opinioni. Quando si ragiona di questa delicata materia è necessario affidarsi alle istituzioni che hanno il compito e gli strumenti per fare delle previsioni. Se l’Istat certifica che il tasso d’inflazione è pari ad una certa percentuale, nessun ministro oserebbe dire che a suo avviso tale livello deve essere dimezzato. Per poterlo affermare dovrebbe mettere in campo dei dati affidabili, non le sue impressioni. Lo stesso discorso vale per le stime dell’Ocse o per tante altre previsioni di autorevoli osservatori internazionali.
Anche in Italia sarebbe sufficiente mettere in fila qualche documento ufficiale – prodotto da pezzi pregiati dell’amministrazione pubblica, incaricati di tenere sotto osservazione costante i grandi apparati di spesa, per accorgersi che la situazione è tutt’altro che rosea. Partiamo dello studio che tutti gli anni compie la Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze della spesa pensionistica e sanitaria (lo si può trovare sul sito www.tesoro.it). E’ il classico uovo di Colombo: la crisi – si afferma – è tanto violenta e profonda che non può lasciare indenne il sistema pensionistico. Così l’incidenza della spesa sul Pil è destinata, con il 15% già nel 2010, ad avvicinarsi a quel picco che era atteso tra il 2035 e il 2040; e a rientrare al di sotto del 14% non già nel 2045 – come inizialmente previsto – ma nel 2060. Ciò per il solo effetto della dinamica negativa del pil indotta dalla crisi economica. Tale analisi viene confermata nel Dpef (un documento di fonte governativa) approvato dal Parlamento nell’estate scorsa.
Da ultima in ordine di tempo è arrivata la relazione della Corte dei Conti. La magistratura contabile non ha esitato a ricordare alcune verità assolutamente indiscutibili: il sistema pensionistico non è affatto in sicurezza; il bilancio del principale istituto deriva il suo attivo da due sole gestioni – quella dei parasubordinati e quella delle prestazioni temporanee – mentre molte gestioni pensionistiche "mature", in particolare quelle del lavoro autonomo, presentano problemi strutturali apparentemente irrisolvibili se non quando, all’arrivo del sistema contributivo – saranno erogati a queste categorie trattamenti veramente inadeguati.
Come se non bastasse, nel novembre scorso il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale alle dirette dipendenze del ministro del Lavoro ha presentato il suo rapporto annuale nel novembre scorso, dove sono confermate le analisi e le valutazioni già ricordate. Quanto alle prospettive di più lungo periodo, il Nucleo ne accenna brevemente nelle conclusioni del rapporto. Pur ritenendo conclusa la stagione delle grandi riforme (per il Nvsp rimarrebbero soltanto problemi di manutenzione) grazie anche all’effetto positivo proveniente dalla revisione dei coefficienti di trasformazione e dalle misure – tra cui l’aggancio automatico dell’età pensionabile all’andamento dell’attesa di vita – introdotte nel luglio scorso, il Nucleo ha finito per svolgere alcune considerazioni che danno da pensare e inducono ad archiviare ogni facile ottimismo. "La transizione – è scritto nel rapporto – rimane problematica".
I rischi di percorso sono molteplici a partire da una crescita insufficiente e da una situazione dell’occupazione ancora lontana dagli obiettivi di Lisbona. Tutto ciò rende più difficile "l’equilibrio intertemporale di medio periodo di un sistema a ripartizione qual’è il nostro". Per l’insieme di queste osservazioni – conclude il rapporto – tenuto conto dell’elevato debito pubblico che grava sul bilancio dello Stato (in misura di 30mila euro pro capite, neonati inclusi) ma soprattutto sulle giovani generazioni e che limita le possibilità d’intervento pubblico in settori vitali e maggiormente rivolti allo sviluppo, alla ricerca e alle nuove opportunità per le giovani generazioni, "occorre una presa di coscienza collettiva e bipartisan per evitare qualsiasi ulteriore crescita della spesa per pensioni e assistenza". Che altro aggiungere ? Quando sarà trascorsa la fase elettorale qualche valutazione si dovrà pur compiere.